Nello studio di Daniela Billi
Un’artista ancora giovane, Daniela Billi, sebbene il suo lavoro la ponga ai vertici dell’espressività contemporanea. Scoperta dal critico Luca Nannipieri che le ha dedicato un bel libro, intitolato “Jesus”, sull’icona delle icone: il Cristo morto, deposto, risorto. La Billi lo ha realizzato da infiniti punti di vista.
Daniela è stata protagonista del Festival del pensiero popolare / Palio di San Rocco Pellegrino a San Miniato. Nell’agosto 2017, a lei - autrice del Premio San Rocco di quell’anno, assegnato a Simone Migliorini, grande attore, oltre che organizzatore del Festival Internazionale del Teatro Romano di Volterra - fu dedicata un’esposizione proprio nella chiesa consacrata al santo, in piazza Buonaparte. Il 16 agosto, in quello stesso luogo, fu ospitata la Santa Messa dedicata a Rocco, realizzando un singolare rapporto tra celebrazione eucaristica e arte moderna. In seguito, appena pochi mesi fa, la Billi sarebbe stata protagonista di un’altra importante mostra, nella chiesa dell’Autostrada del Sole, progettata da Giovanni Michelucci. Il priore che l’ha invitata è, in questo caso, don Vincenzo Arnone, un intellettuale di grande valore, tra l’altro buon amico di Mario Luzi.
Daniela Billi è nata in Svizzera nel 1963, con una personalità artistica evidente fin dall'infanzia; il trasferimento in Toscana, Firenze e poi Prato, la porterà nella culla dell’arte: non solo la pittura, anche la poesia, il teatro, il cinema: tra l’altro prenderà il diploma di “Cinemaimmagina”, cominciando ad impegnarsi su varie tecniche, che ancora la contraddistinguono, dal collage alla realizzazione di oggetti e anche capi di abbigliamento frutto di una sovrapposizione di materiali.
Alla fine, ne nascono delle vere e proprie sculture kitsch - di pessimo gusto, se non fosse che filosofi, storici e naturalmente artisti hanno dato loro ampia cittadinanza nell’arte contemporanea. Anche i quadri della Billi rispondono in qualche modo della stessa tecnica, con una realizzazione esclusivamente cromatica, basata cioè sull’uso di colori a olio o acrilici. Il risultato è molto espressionista, gli elementi rappresentati si deformano in visioni di forte valenza e interesse, c’è una ricerca privilegiata per le icone della contemporaneità, con non pochi richiami alla pittura pop americana, Andy Warhol in cima a tutti. Il suo studio di Prato trabocca di queste immagini, la visita che vi facciamo è quella verso un antro infernale o forse paradisiaco: lo spazio è sotterraneo, un luogo d’arte e di magia.
La Billi ci accoglie con sapiente maestria, i quadri sono sparsi anche fuori dalla propria abitazione, per tutto uno spazio garage, appoggiati ai muri e alle cose. I colori si inseguono, colmano lo sguardo, potrebbero addirittura stordire. C’è da una parte una rappresentazione della Gioconda di Leonardo, ridotta a sagoma, ma anche appesantita/arricchita con una ricca serie di elementi applicati sopra all’opera, c’è passameneria, ricami, medaglie, oggetti di forte concretezza: come ad ‘incarnare’ lo sguardo dei milioni di spettatori che ogni anno si dedicano a Monna Lisa, almeno nei pochi minuti che il Museo del Louvre permette loro. Siamo cioè davanti a un gioco che potrebbe anche essere perverso, se non fosse vissuto con la sincerità dell’artista, vinto più dall’anima – dal cuore – che dal cervello.
“Le emozioni sono forti e tutte segretamente racchiuse nei colori usati dall'artista che, trasportata da un istinto quasi innato, dà sfogo alla sua creatività”. Questo si legge in una delle tante recensioni a lei dedicate, e il riferimento diventa ancora più evidente quando si guarda al vasto ciclo che la Billi ha sviluppato sulla figura di Cristo.
C’è una straordinaria spiritualità in questi quadri, nonostante l’uso di colori molto forti, con una rappresentazione che a volte sfiora l’informale, dalla forte matericità, e con un segno che si intreccia, si contorce, si avvolge su stesso: in un lavoro che si intuisce quasi di danza, del pittore davanti alla tela: una tela che spesso può ospitare omaggi ai grandi del Rinascimento, fino a Caravaggio o a Rosso Fiorentino.
Siamo insomma davanti ad una grande interprete della nostra contemporaneità, un’artista che ci aiuta a capire e a interpretare un oggi sempre più confuso. Certo la Chiesa dovrebbe ringraziarla e non mancano – anche se dovrebbero essere molti di più - i segnali di una adeguata lettura del suo lavoro. Non vogliamo citare Paolo VI che ha spesso chiesto “aiuto” agli artisti, ma conosciamo fin troppo bene la scarsa attenzione dedicata all’arte contemporanea, da parte di sacerdoti e comunità religiose. Si pensi al recente convegno su Arte e Chiesa, all’Università Teologica di Firenze, al quale anche La Domenica ha partecipato in forze. Sono momenti che alzano l’asticella del gusto, di qualcosa che potremmo chiamare genericamente Chiesa, a partire appunto da parole potenti, come quelle pronunciate dal cardinal Betori, proprio a conclusione del consesso fiorentino.
Siamo insomma a rendere merito a Daniela Billi, ma anche a Luca Nannipieri che per primo - con un intuito senza dubbio da segnalare - le ha dedicato un lungo saggio, per introdurre “Jesus”, il libro dove la Billi raccoglie i frutti del suo impegno. “Una cosa salta subito agli occhi – scrive Nannipieri –: la Billi non fa manierismo religioso…
Non fa esangue ripetizione di un già visto storico: né rinuncia alla figurazione, come invece si arrendono a fare molti artisti, i quali, per rappresentare Dio, assolutizzano il colore e la forma, si fanno astratti, concettuali, riducendo Dio ad un concetto, ad un’astrazione in monocromo, ad un totem impassibile e astratto. La Billi non fa questo, perché un Dio impassibile e astratto, un Dio monocromatico, non sarebbe il Dio cristiano, che si è fatto uomo, che è stato crocifisso, che ha patito su di sé tutta la cromia della violenza umana”.
Insomma, un impegno indubbiamente importante, quello della pittrice, alla ricerca del corpo martoriato di Cristo, ma anche in cerca di altri volti e oggetti, icone dell’oggi, che a Cristo assomigliano per il loro valore assoluto. All’immagine di Gesù, se ne aggiungono infatti altre, elevate a emblema, vere e proprie mitologie. Stiamo pensando alle straordinarie chitarre, agli altri strumenti musicali, ad altri volti che diventano materiali di una ricerca dell’anima, non del corpo, perché Anima – lo scrive proprio Daniela Billi – è “una costruzione di geometrie imprecise che sfumano verso l’immenso”.
A questo proposito non possiamo non citare le raffigurazioni di un dio mitologico come Pan, che la Billi ha realizzato per Simone Migliorini e il suo spettacolo “Pancrazio” di Alma Daddario, andato in scena a fine dicembre 2016, al Teatro Persio Flacco di Volterra. Il quadro di Daniela Billi è un’opera davvero intensa, tanto da diventare lo straordinario riconoscimento per Migliorini, donato in occasione del già citato Festival del pensiero popolare di San Miniato.
C’è insomma in questa artista, un bisogno assoluto di spiritualità, che si esprime in tutte le sue opere, non importa che il soggetto diventi così esplicito. Certo quando i quadri sono dedicati a Nostro Signore allora il discorso diventa più evidente e assoluto: è ancora Daniela Billi che parla, anche stavolta si è lasciata vincere dal Volto di Gesù e della Croce. Si tratta – scrive – di una “riflessione sulla vita umana e sulle fede, sulle molteplici ‘croci’ che simbolicamente ogni giorno ci portiamo addosso come essere umani, ma anche sul loro superamento”, come dire che in Daniela Billi, c’è anche il perdono per i nostri errori, la speranza, il futuro, un futuro non tragico, positivo, non sappiamo quanto di Fede, ma questo, almeno qui, non è essenziale.
Andrea Mancini