Operata al fegato e a rischio contagio, la terza dose l'aiuta a tornare a casa per Natale
Ha festeggiato un normalissimo Natale a casa con i parenti una giovane paziente ligure. Una normalità raggiunta dopo una storia chirurgica estremamente complessa, passata anche attraverso un’impegnativa quarantena Covid.
A febbraio 2021 era stato eseguito un intervento particolarmente difficile per rimuovere in un’unica procedura venti metastasi da neoplasia del colon-retto distribuite a tutto il fegato. Dopo sei mesi, come purtroppo può accadere, la malattia si è ripresentata al fegato coinvolgendo la via biliare e la vena porta. Questa volta la situazione non appariva più gestibile chirurgicamente dato che - oltre alla complessità tecnica dovuta alla necessità di ricostruire vena porta e via biliare - il volume del fegato residuo (il lobo epatico sinistro) sarebbe stato inferiore al 20%, quindi incompatibile con la vita, a causa dell’insufficienza epatica che si sarebbe verificata dopo l’intervento.
Per far sì che il fegato residuo potesse aumentare di volume senza dover eseguire un intervento chirurgico sono state allora considerate le innovative tecniche di radiologia interventistica utilizzate nell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana dal dottor Alessandro Lunardi. Ma il rischio di insufficienza epatica è stato giudicato comunque troppo alto per un fegato già operato, sottoposto a multipli cicli di chemioterapia e con un volume di partenza veramente molto piccolo (pari a 184 cc).
Il dottor Roberto Moretto, oncologo di riferimento della paziente, ha quindi portato il caso in discussione all’interno del Gruppo multidisciplinare della Chirurgia epatica del risparmio d’organo, dove si è giunti alla conclusione che l’unica possibilità fosse ricorrere all’epatectomia con tecnica ALPPS, intervento molto rischioso ma l’unico in grado di assicurare la maggiore crescita possibile del volume del fegato residuo.
Si tratta di una chirurgia che prevede due interventi a distanza di otto giorni l’uno dall’altro. Nel primo intervento si divide il fegato in due parti, nel secondo si rimuove la parte con la malattia rimasta in sede per “aiutare” la parte sana a rigenerare e crescere. La tecnica chirurgica ALPPS è stata descritta per la prima volta nel 2012 ma non è mai stata applicata per trattare una ripresa di malattia dopo aver già rimosso venti metastasi distribuite a tutto il fegato.
A ottobre, il dottor Lucio Urbani ha eseguito il primo tempo chirurgico durante il quale il fegato è stato diviso in due parti e contemporaneamente sono state ricostruite la vena porta e la via biliare. Otto giorni dopo, il secondo tempo per rimuovere la parte di fegato malata e lasciare la piccola parte di fegato sano, che è cresciuta fino a un volume compatibile con la vita.
La degenza complessiva è stata di sole due settimane. Ma proprio tra i due tempi chirurgici, la giovane paziente ligure ha dovuto affrontare la quarantena Covid, perché si era positivizzata la vicina di letto, nella stanza di degenza. La gestione del secondo tempo chirurgico durante la quarantena è diventata una criticità sia organizzativa che clinica, essendosi sommate le incognite legate alla procedura chirurgica con quelle di una eventuale infezione Covid. Con ogni probabilità, se a settembre la paziente non avesse ricevuto la terza dose di vaccino, la sua storia chirurgica si sarebbe complicata. Invece ha potuto completare il secondo tempo chirurgico nei tempi previsti e terminare la quarantena a casa, senza mai positivizzarsi.
Fonte: Aoup