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Incontrare i partner in carcere, presentata la ricerca sul tema da anni in discussione

“È un tema discusso oramai da anni, su cui numerose sono state le proposte di legge presentate in Parlamento, tra le quali l’ultima inviata proprio dal Consiglio regionale della Toscana nel febbraio del 2020, su sollecitazione dell’ex garante Franco Corleone, e attualmente assegnata alla Commissione Giustizia del Senato, di cui è relatrice Monica Cirinnà – ha ricordato Giuseppe Fanfani, Garante dei diritti dei detenuti della Toscana, aprendo i lavori del seminario sulla ricerca della Fondazione Michelucci su ‘La dimensione affettiva delle persone detenute’. - Nell’ambito della proposta, da cui la ricerca che presenteremo oggi prende le mosse, si prevede la realizzazione di spazi interni agli istituti penitenziari in cui le persone detenute possano incontrare i propri partner e possano avere con loro anche rapporti sessuali: si tratta di spazi che, oltre al requisito della riservatezza, devono avere delle caratteristiche di accoglienza e di dignità che siano adeguate all’espressione della relazionalità di coppia in un modo il più possibile simile a una condizione di libertà”.

“Sono orgoglioso di come la Toscana, da sempre terra dei diritti, sia presente su questi temi – ha affermato Antonio Mazzeo, presidente del Consiglio regionale – Una delle prime cose che ho fatto appena eletto è stata la visita ad un carcere. Ritengo infatti che il Consiglio regionale debba soprattutto dare voce a chi ne ha meno. Non è possibile che la nostra proposta di legge sia ferma da così tanto tempo. Scriverò al presidente della Commissione Giustizia del Senato. Si tratta di mettere al centro la dignità della persona. Su questo saremo sempre in prima linea”.

“L’ambizione della politica dovrebbe essere quella di avere il coraggio di mettere al centro della propria azione i diritti, che sono diritti per tutti – ha affermato Serena Spinelli, assessore al welfare della Regione Toscana - In questo paese si fa fatica a parlare di sessualità, anche nel caso dei disabili. Parlarne oggi in questa sede significa affermare con forza che di questi temi dobbiamo occuparci, anche se questo ci porterà meno consensi”.

“Essere qui a parlare del diritto all’affettività e sessualità in carcere lo considero quasi un privilegio - ha osservato Silvia Botti, presidente della fondazione Giovanni Michelucci - Il concetto di diritto sta avendo derive inquietanti nella opinione pubblica. Confondiamo le libertà personali con i diritti: perciò abbiamo bisogno di declinare in un mondo che cambia alcuni diritti fondamentali che sono alla base delle conquiste che abbiamo fatto”.

“La ricostituzione delle relazioni familiari interrotte, il loro mantenimento e miglioramento, sono già tra gli obbiettivi dell’amministrazione penitenziaria – ha rilevato Pierpaolo D’Andria, provveditore dell’amministrazione penitenziaria per la Toscana e l’Umbria - Il videocollegamento è uno strumento che speriamo non sia limitato a questa fase emergenziale. Ci sono poi specifiche modalità organizzative. Molto è stato fatto, ma molto resta da fare e questa di oggi è un’occasione importante di confronto”.


I temi del Convegno e la Proposta di legge della Regione Toscana

Il lavoro di ricerca della Fondazione Michelucci è stato ispirato dal disegno di legge presentato dalla Regione Toscana il 10 luglio 2020 al Senato della Repubblica, nell’ambito della XVIII legislatura e, attualmente, assegnato ai lavori della 2° Commissione permanente Giustizia.

L’iniziativa del Consiglio regionale della Toscana, immediatamente raccolta in termini di approfondimento, ricerca e sostegno dal Garante dei diritti dei detenuti intende dare uno “sbocco normativo al dibattito politico e legislativo, da anni in corso, sul tema del riconoscimento del diritto soggettivo all’affettività e alla sessualità delle persone detenute.”

La proposta di legge è giunta al culmine di oltre venti anni di tentativi di dare pienezza al diritto all’affettività della persona in stato di detenzione, tentativi che non hanno sino ad oggi trovato uno sbocco concreto, un inquadramento normativo. Basti ricordare come tale diritto fosse già stato previsto nel progetto di riforma del Regolamento di esecuzione dell’Ordinamento penitenziario, elaborato sotto la responsabilità dell’allora Sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone e con il grande contributo di Alessandro Margara, in quel momento a capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziari.

Tale soluzione normativa è stata stralciata dal testo definitivo approvato dal Consiglio dei ministri nel giugno 2000 dietro parere del Consiglio di Stato, che rinviava al legislatore il potere di adeguare la normativa sul punto. Successivamente vi sono stati altri tentativi: si ricordi, ad esempio, la Proposta di Legge presentata alla Camera il 28 aprile 2006 dai deputati Boato, Ruggeri e Balducci, ma anche le proposte derivanti dai lavori degli Stati Generali sull’Esecuzione Penale, passando per la Sentenza della Corte Costituzionale n. 301 del 2012.

La proposta di legge della Regione Toscana raccoglie l’impegno profuso all’interno della Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà, di cui il Consiglio regionale della Toscana ha deciso di farsi portavoce. In particolare, gli interventi si sono concentrati (all’Art. 1) sull’articolo 28 dell’ordinamento penitenziario, che regola i rapporti con la famiglia, al quale è stato aggiunto il ‘diritto all’affettività’ attraverso un comma che recita “Particolare cura è altresì dedicata a coltivare i rapporti affettivi. A tal fine le persone detenute e internate hanno diritto ad una visita al mese della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore con le persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgono in unità abitative appositamente attrezzate all’interno degli Istituti penitenziari senza controlli visivi ed auditivi”. La formulazione lascia spazio alla definizione della natura di quelli che possono essere i rapporti affettivi con un familiare, un convivente, o un amico.

Relativamente ai luoghi atti ad ospitarli viene, inoltre, precisato che “le unità abitative sono pensate come luoghi adatti alla relazione personale e familiare e non solo all'incontro fisico, un tempo troppo breve, infatti, rischia di far tramutare la visita in esperienza umiliante e artificiale. Per tale ragione si è inteso prevedere che la visita possa svolgersi all'interno di un lasso di tempo sufficientemente ampio. L'assenza dei controlli visivi e auditivi serve a garantire la riservatezza dell'incontro.”

La proposta interviene (con l’art. 2) anche sull’articolo 30 dell’Ordinamento penitenziario che regola i cosiddetti “permessi di necessità”, proponendo la sostituzione del secondo comma che recita "Analoghi permessi possono essere concessi eccezionalmente per eventi di particolare gravità" - con il seguente: "Analoghi permessi possono essere concessi per eventi familiari di particolare rilevanza", andando ad eliminare il presupposto della ‘eccezionalità’ e della ‘gravità’, da sempre interpretato come legato a lutti o malattie dei familiari. Tale modifica sottolinea che non solo gli eventi traumatici possono avere “particolare rilevanza” nella vita di una persona o di una famiglia.

Altro intervento art. 3) è dedicato all’articolo 39 del Regolamento di esecuzione, relativamente al diritto alla corrispondenza telefonica, prevedendo che le telefonate possano essere svolte, quotidianamente, da tutti i detenuti, per una durata massima raddoppiata non superiore ai venti minuti, superando le restrizioni nel numero dei colloqui telefonici riservati alle persone detenute del circuito di alta sicurezza.

Inoltre, all’art. 4 prevede che con l’entrata in vigore della Legge,il diritto di visita venga immediatamente garantito in almeno un Istituto per Regione. Le modifiche apportate all’art. 28 dell’Ordinamento penitenziario., infatti, introducono le unità abitative attrezzate e ne sanciscono la realizzazione in due fasi: una prima fase in cui si dovrà garantire il diritto alle visite in almeno un Istituto per regione (20 Istituti); una seconda fase, dai sei mesi successivi all'entrata in vigore, in cui si dovrà garantire il diritto di visita in tutti gli Istituti (quindi anche nei restanti 170 Istituti).

La proposta di legge del Consiglio regionale della Toscana prevede anche che dopo l’’approvazione sia fatta un’indagine da parte dell’amministrazione penitenziaria per individuare gli immobili da destinare all'esercizio del diritto di visita (Case dell'affettività ).

Per quanto riguarda i fondi necessari alla realizzazione di tali interventi, essi sono stati individuati nell'ambito dei fondi del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, destinati ai lavori sugli immobili pubblici, per i quali esiste una specifica programmazione dedicata all'edilizia penitenziaria. Con l’auspicio che la proposta venga approvata e il 2021 diventi l’anno in cui, finalmente, anche le persone recluse vedranno riconosciuto il diritto di avere e coltivare degli affetti nella loro vita, non possiamo che augurarci che questa ricerca rappresenti un piccolo contributo a questo fondamentale processo.

Il percorso della Proposta di Legge della Regione Toscana, seppur avviato, si annuncia certamente complesso e difficile, il cui sviluppo si colloca peraltro in un frangente storico, politico e sociale, del tutto particolare, caratterizzato dalla pandemia da Covid-19 e dai ‘mille’ provvedimenti di urgenza che questa ha determinato sul piano sanitario, economico, sociale, culturale, con ricadute pesanti sulla quotidianità di ciascuno e sulle libertà individuali. Il carcere medesimo è stato oggetto di provvedimenti di urgenza, ripetuti, e finalizzati a limitare e contenere i possibili focolai di infezione al proprio interno. Si è trattato di interventi che, come in molte altre occasioni passate, non sono apparsi ispirati ad una logica organica, di prospettiva, effettivamente riformatrice. Il respiro corto di detti provvedimenti, siano stati essi normativi, ma anche organizzativi e gestionali, assieme ad uno sguardo mostratosi spesso miope, ovviamente fa temere non solo per l’approvazione del Disegno di Legge sull’affettività, ma soprattutto per la tenuta del sistema carcerario nel suo complesso e per il pieno riconoscimento, nella quotidianità, della dignità della persona in stato di detenzione.

 

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