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Conceria, in un anno bruciato un miliardo di euro

L’industria conciaria italiana, con le sue 1.165 aziende (distribuite nei distretti produttivi veneto, toscano, campano e lombardo) e i suoi 18.000 addetti, guarda all’iniziale positività dei primi segnali del 2021 per riaffermare quelli che, da sempre, sono i suoi primati.

Perché la conceria italiana è:

·         il primo produttore europeo

·         il primo esportatore europeo

·         il primo produttore ed esportatore al mondo nella fascia alta di prodotto.

Una leadership che ha resistito allo tsunami di una pandemia che ha generato una profonda sofferenza in tutta la filiera della pelle, costringendo il settore (sia nei dati nazionali che regionali di produzione e commercio estero, sia in quelli relativi ai singoli segmenti produttivi) a subire nel 2020 cali a doppia cifra, con l’unica eccezione delle pelli destinate al comparto dell’arredamento.

A causa dei ripetuti lockdown, della scarsa mobilità internazionale e della conseguente flessione generalizzata dei consumi che ha colpito la clientela, nel 2020, come segnalano i dati elaborati da UNIC – Concerie Italiane, il valore della produzione conciaria italiana è stato di 3,5 miliardi di euro, in calo del 23% sul 2019. Le esportazioni hanno chiuso a 2,5% miliardi di euro, arretrando del 25%.

In altre parole: in un solo anno è stato bruciato quasi un miliardo di euro sia in termini di produzione che di export.

Il primo semestre 2021, come atteso, ha invertito l’inerzia congiunturale. I volumi di produzione sono cresciuti del 20,7% su base annua, il fatturato settoriale del 25,3% e l’export (che vale il 75% della produzione) del 28%. Più essenziale e significativo, però, risulta confrontare questi dati con quelli precedenti alla pandemia e relativi al primo semestre 2019. Facendolo, si scopre che il trend di recupero non è stato ancora completato ed è in corso. Infatti, nella prima metà del 2021, rispetto a due anni fa, la pelle italiana mostra il -10,4% in volume e il -15,5% in fatturato, con esportazioni al -16,4%. Il settore appare quindi sulla buona strada per recuperare i livelli pre-Covid19 in tempi non eccessivamente lunghi, anche se manca ancora una tendenza positiva forte e in grado di coinvolgere tutti i segmenti e i distretti di produzione. Questa assoluta impossibilità di generalizzare i trend in corso si riflette, per esempio, anche sulle performance dei Paesi di destinazione delle pelli italiane. Le esportazioni verso la Cina (inclusa Hong Kong), da quasi trent’anni prima meta estera delle pelli italiane, crescono del 39% sul 2020, ma restano lontane dai valori del 2019: -25%. Situazione simile per i flussi destinati ai principali partner europei: Francia (+21% sul 2020, -21% sul 2019), Germania (rispettivamente +19% e -16%), Spagna (+17%, -35%), Portogallo (+18%, -8%), Polonia (+25%, -12%), Romania (+30%, -18%), Serbia (+41%, -10%), Regno Unito (+28%, -26%). Non mancano però le eccezioni positive a tale trend, come il Vietnam (attualmente seconda più importante destinazione internazionale dell’export italiano di pelli), che cresce del 68% sull’anno passato, ma anche del 16% rispetto a due anni fa, gli USA (+41% sul 2020 e +3% sul 2019) e l’emergente Messico (flussi raddoppiati rispetto all’anno scorso e +42% su due anni fa).

Anche dall’analisi congiunturale dei singoli segmenti produttivi emergono andamenti simili a quelli dell’export. Crescono, per esempio, le vendite di pelli per arredamento; il recupero è, invece, solo parziale per pelletteria e, soprattutto, automotive; la calzatura, seppur in rialzo sul 2020, rimane quella più in difficoltà.

Per quanto riguarda la tipologia di pelli, la ripresa appare generalmente più consistente per le pelli bovine, soprattutto medio-grandi, e per le ovine. Persistenti cali per le capre.

Sopra questa situazione di faticoso, ma strenuo recupero incombe, però, una pericolosissima spada di Damocle: quella dei prezzi delle materie prime, cresciute in media del 25% da gennaio a giugno 2021 e nientemeno che del 45% rispetto al 2020, con punte anche superiori al 65% per alcune tipologie di pelle grezze. Un fenomeno di crescita incontrollata che coinvolge in modo sostanziale anche la fornitura di ausiliari chimici. Questa tendenza al rialzo, non accompagnandosi a una ripresa diffusa e convinta di domanda e consumo, potrebbe inibire in maniera pesante il ritmo e l’intensità del recupero, con conseguenze anche molto gravi sul piano della sostenibilità finanziaria del settore.

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