Mostra dedicata ad Aurelio Cupelli all'Officina Culturale di San Miniato
Ad Aurelio Cupelli è dedicata una interessante mostra nello Spazio dell’Orcio, Officina Culturale, sotto l’arco che porta al Seminario di San Miniato.
Si tratta di 44 fotografie in bianco e nero, che raccontano una sua giornata fiorentina, a partire dalla Stazione di Santa Maria Novella, giù per le scale di via Alamanni, sulla metropolitana verso Peretola e la periferia della città.
Un viaggio in questi strani tempi, dove il vuoto si sostituisce al pieno, con persone-presenze che ormai fanno parte del nostro quotidiano. Senza nessun giudizio, solo con il bisogno-desiderio di documentare un’emozione.
La mostra resterà aperta fino all'8 agosto, con orari anche serali, nelle sere della Luna è Azzurra e nei martedì di san Miniato.
Conosco Aurelio dagli anni 80, era poco più di un ragazzo, ma aveva già quello spirito che poi l’avrebbe contraddistinto, quello del testimone, del documentarista, anche dei gesti più minuti, familiari, magari dei giochi di sua figlia Agnese o di altre cose di grande semplicità. Veniva spesso a trovare Dilvo e Beppina Lotti, documentando il lavoro dell’artista, ma anche di sua moglie e portando loro periodici libretti fotografici, che raccontavano con candore la sua esistenza, quella appunto di Aurelio e dei suoi familiari.
Il suo lavoro non poteva non ispirare tenerezza, anche allora non c’erano pretese, non tentava di realizzare quelle che chiameremmo “opere d’arte”, voleva studiare con la macchina fotografica, sia la propria vita, sia quella altrui. Uno scelta singolare, che ce lo ha sempre fatto guardare con grande simpatia.
Proprio da qui è riuscito in tanti anni a costruire uno straordinario repertorio di scatti, che riguardano infinite occasioni, migliaia di documenti, che Aurelio ha fermato, stupendo spesso il soggetto o i protagonisti dell’evento documentato.
Tutto questo senza un giudizio, pensando fondamentalmente al racconto, anche quando è andato a cercare i luoghi della sua infanzia - come nel suo bellissimo “Rio Macone. Diario, racconti, immagini”-, dove a partire da un fiumiciattolo, oggi anche maleodorante, ha creato un universo mitico, come forse immaginava da bambino, coinvolgendo nel viaggio molte persone che gli abitavano vicino, tra l’altro un indimenticato assessore Gianluca Bertini, purtroppo morto di Covid ma, nell’occasione della presentazione del libro di Cupelli, pronto raccontare e a raccontarsi, commuovendosi alla vista di questi banalissime immagini, banali appunto, ma straordinariamente evocatrici, per questo importanti, per quel luogo (San Miniato Basso e dintorni), per la sua storia, quella ad esempio della fabbrica di pomodori, che ancora oggi esiste come struttura, vicina alla Stazione dei treni, ma che nessuno sa più riconoscere.
Naturalmente Cupelli è davvero bravo anche quando lavora su commissione, cioè quando altri gli hanno chiesto di essere presente ad eventi più o meno pubblici. E soprattutto quando ha semplicemente fatto della fotografie di “viaggio”, come nel caso di quelle esposte nella mostra dello Spazio dell’Orcio, che raccontano appena qualche momento di una sua giornata, sulla metropolitana che va verso Peretola.
Cupelli ha fotografato alcuni oggetti, qualche struttura architettonica, alcune persone, perse nel loro telefono o nella loro solitudine, che è un po’ la stessa cosa. Una serie di elementi che li fanno assomigliare alla scena di un film, a partire dall’uso del bianco e nero, che evidentemente ha un effetto immediatamente straniante, riesce subito a rendere interessante un’immagine, a staccarla dalla realtà.
Ecco allora che si scendono le grandi scale che portano dalla Stazione di Santa Maria Novella a via Alamanni, non sono scale banali, le ha progettate negli anni 30 un grande architetto come Giovanni Michelucci e adesso conducono alla fermata della Metro.
Nelle foto si vedono alcuni elementi, ma soprattutto si percepisce che non esiste la natura: né una pianta, né un albero, né un fiore. Nelle prime tra l’altro non c’è nessun mezzo di trasporto, ci sono solo delle persone che forse lo aspettano.
Persone di spalle, con i sacchetti della spesa, lo zaino dietro, alcuni senz’altro sono africani, altri vengono dall’est Europa, altri ancora non si capisce. Stessa cosa nelle immagini successive, c’è un chiosco di giornali ma è chiuso, la saracinesca ha una grande scritta che invade lo spazio, riempie quasi la foto, dunque anche lo sguardo dello spettatore; le persone sono ancora lì, aspettano. Così come nella foto successiva, dove si vede uno spicchio di cielo e dove chi in attesa è visto da davanti, anche se non si riconosce, la mascherina ne nega la visione, il mondo è privo di facce, almeno di facce riconoscibili.
Il viaggio prosegue, il fotografo sale sul treno, che nel frattempo è arrivato con la sua parete specchiante che raddoppia l’immagine. I volti sono ancora più anonimi, sia all’interno che all’esterno, biciclette legate ai lampioni o agli spartitraffico, vuoto di persone ma non di macchine, il mondo è tutto qui, le foto sono diverse, ma si assomigliano.
Il viaggio è a Firenze, ma potrebbe essere a Parigi o a Londra, c’è poca differenza, se non in piccoli particolari, che Aurelio riesce a fermare, ad esaltare. È una pagina importante di questo suo girovagare, una delle tante, siamo davanti ad una bella mostra, intensa, forte, piena di implicazioni.
Del resto abbiamo voluto vedere Cupelli anche nel suo Studio, nel luogo dove lavora e abbiamo scoperto una collina magica, quella di Pierino, che dà anche il titolo al suo Blog: Vivere a Pierino, dove spesso raccoglie i suoi servizi.
Ce ne sono molti anche tra quelli dedicati al teatro, sia ai festival che hanno allietato San Miniato, sia ad altri spettacoli, in varie parti d’Italia e d’Europa. Anche qui c’è un repertorio immenso, che attende solo qualche ricercatore che possa e voglia metterci le mani. A noi interessa soprattutto la magia di certi scatti, la bellezza con cui Aurelio ha fermato certi spettacoli. Ad esempio le foto meravigliose del viaggio di Giuliano Scabia negli spazi della città, certo tra le più belle che gli siano state fatte, mostrano la felicità dell’artista, ma mostrano soprattutto la felicità di chi lo sta seguendo, persone attirate da ogni parte d’Italia, come le mosche al miele.
Nel suo studio Cupelli ci mostra i suoi strumenti di lavoro, oggi completamente digitali e le raccolte dei suoi scatti, da dove vengono fuori le infinite geografie delle sue ricerche, un lavoro che come abbiamo detto è immenso e che non si limita spesso alla sola fotografia, ma che ne cerca anche un suo commento, una pagina di un possibile diario. È appunto il diario di un cercatore, che non ha ancora trovato, ma che insiste nella ricerca. Noi ne siamo felici, spesso esaltati.
Fonte: Ufficio Stampa