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Riempiono ruderi con rifiuti tessili tra la Toscana e il Veneto, 19 indagati

Avvisi di garanzia per 19 persone e 6 aziende ritenute responsabili di associazione per delinquere nel traffico organizzato di rifiuti tessili prodotti nel pratese, oltre che di truffa e gestione illecita dei rifiuti. Gli scarti venivano abbandonati in aree e capannoni in disuso, in Toscana tra Prato e Pistoia, in Veneto tra Verona, Padova, Vicenza e Rovigo, fino a Salerno in Campania. L'operazione condotta dai Carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Firenze e diretta dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Firenze si chiama La Via degli Stracci.

Tutto parte a inizio 2019 dopo un controllo del Noe di Firenze a un'azienda pratese di gestione rifiuti. I proprietari stavano per incendiare il capannone, pieno fino al tetto di rifiuti tessili. L'edificio è stato sequestrato e l'azienda risultava essere all'interno di un indagine chiusa a febbraio dello stesso anno con 8 avvisi di garanzia per reati analoghi verso i vecchi gestori dell'impianto e consulenti ambientali.

La precedente società, a seguito dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria, aveva ceduto l’intera attività ad un altro gruppo. L’azienda, mantenendo lo stesso nome, era stata intestata ad una ragazza residente in Lombardia. A capo di tutto, però, vi erano il padre ed un altro socio occulto, entrambi residenti fuori dalla Toscana, che per condurre i loro traffico si sono avvalsi della complicità di altro imprenditore del pistoiese.

I nuovi imprenditori, privi di esperienza nel settore dei rifiuti nonché delle abilitazioni e dei permessi necessari (ma utilizzando le vecchie autorizzazioni ormai scadute) si erano imposti nel mercato del ritiro dei rifiuti costituiti da ritagli tessili e della pelle (residui di fibre tessili lavorate oppure residui del confezionamento e finiture delle pelli) prodotti dalle varie manifatture pratesi, proponendo prezzi ultra-concorrenziali per il prelievo degli stessi, che venivano conferiti all’interno degli ormai noti “sacchi neri”.

Una volta portati all’interno del fabbricato in via delle Case Nuove, però, i rifiuti tessili venivano semplicemente accatastati in cumuli e su di essi non veniva compiuta alcuna delle operazioni di trattamento e recupero previste (cernita, separazione, sanificazione, compattazione, imballaggio) allo scopo di trasformarli in materia prima secondaria, da avviare poi a successivi cicli produttivi.

Pertanto, avendo abbattuto i costi di gestione, in poche settimane gli indagati hanno consentito che l’intero capannone fosse stipato in tutti gli spazi, sino al soffitto e nel frattempo, con alcuni stratagemmi, hanno progressivamente cercato di liberare i magazzini da parte dei rifiuti per fare spazio e riceverne altri cospicui quantitativi, assicurandosi così altri profitti illeciti.

In un primo momento hanno tentato di inviare i rifiuti a incenerimento attraverso onerose spedizioni transfrontaliere (verso Polonia e Bulgaria), poi hanno architettato un espediente più proficuo: riempire alcuni capannoni vuoti ed in disuso situati in Veneto. A questo fine i gestori della ditta toscana si sono avvalsi della collaborazione di alcuni complici sul posto i quali, anche attraverso la creazione fittizia di un’altra società a cui destinare formalmente i carichi, hanno fornito l’apporto logistico per l’individuazione dei siti presso i quali indirizzare i tir colmi di rifiuti; ricercavano in particolare capannoni ed aree in disuso nelle numerose zone industriali venete, prive di attività produttive nelle vicinanze.

Gli scarti tessili, pertanto, mediante il cosiddetto meccanismo del “giro-bolla venivano “trasformati” (solo documentalmente) in merce, non più tracciabile come rifiuto e quindi più agevole da movimentare.

Per i loro fini illeciti, gli indagati si sono avvalsi di ditte di trasporto compiacenti, ai cui autisti venivano di volta in volta impartite istruzioni sul luogo da raggiungere in Veneto, ove venivano agganciati da una staffetta di complici locali che poi li conducevano in fabbricati situati nelle vicinanze e presso i quali avevano già provveduto a liberare gli ingressi; giunti sul posto i mezzi venivano scaricati in grande fretta direttamente sul pavimento. In pochissimi giorni il capannone prescelto veniva completamente riempito.

Tramite questo ingegnoso sistema, in poco meno di tre mesi (questo è il brevissimo lasso di tempo in cui ha potuto operare l’organizzazione, prima che l’intervento dei Carabinieri ponesse fine alle attività illecite), gli indagati hanno smaltito illegalmente circa 1000 tonnellate di rifiuti, assicurandosi un profitto illecito di almeno 250 mila euro, al netto dei pagamenti in nero comunque percepiti.

Oltre alla già citata ditta pratese, altre 5 aziende sono state colpite dal medesimo provvedimento della Direzione Distrettuale Antimafia, che ha ipotizzato a loro carico dei reati previsti dal Decreto Legislativo 231/01, ritenendo acclarata la responsabilità amministrativa delle società stesse, poiché i rispettivi amministratori e soci hanno proceduto al trasporto e/o ricezione di rifiuti in violazione di legge, qualificati fraudolentemente come merce, al fine di destinarli in siti non autorizzati a riceverli.

Le notifiche dei provvedimenti agli indagati e amministratori delle aziende sono tuttora in corso di esecuzione ad opera dei Carabinieri in Toscana, Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Lazio e Campania.

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