Finita la videochiamata aggredisce agente penitenziario nel carcere di San Gimignano
Quest'oggi si è verificata l’ennesima aggressione ai danni di un agente di polizia penitenziaria di San Gimignano.§
Ne da comunicazione Pellegrino Stefano Sorice segretario provinciale della Uil- PA Polizia Penitenziaria.
Un detenuto Alta Sicurezza, posto in isolamento, ha prima spintonato e poi sferrato un pugno all’agente preposto alle videochiamate, colpendolo al volto, dopo che quest’ultimo gli aveva fatto notare che il tempo a sua disposizione per il colloquio in videochiamata, così come da disposizioni, fosse scaduto.
Ancora una volta ci troviamo a denunciare la facilità col quale il personale viene aggredito e la violenza, sia fisica che psicologica, alla quale troppo spesso si è sottoposti, oltre i disagi causati dalla mancanza di personale e di conseguenza gli ingenti carichi di lavoro.
Le motivazioni del reiterarsi di questi atti vanno dall’inefficienza del modello custodiale all’insufficienza degli organici del personale e degli equipaggiamenti, nonché alla mancanza di un impianto normativo adeguato che favorisca la prevenzione o permetta la repressione, in forma di deterrente, di tali azioni da parte dei detenuti.
San Gimignano è un carcere che va avanti grazie alla dedizione dei poliziotti penitenziari che ci lavorano ed è attualmente in assenza di una direzione e di un comandante stabile. Questa precarietà di coordinamento è causa anche di mancanze in merito agli impegni contrattuali nei confronti delle sigle sindacali.
L’agente aggredito è stato trasportato in pronto soccorso, attualmente in attesa di prognosi.
A lui va tutta la nostra solidarietà e l’augurio di una pronta guarigione con la speranza che vengano presi provvedimenti seri nei confronti dei detenuti che dimostrano tali atteggiamenti.
Chiediamo per tanto al Ministero della Giustizia di costituirsi parte civile nei procedimenti penali conseguenti alle aggressioni patite dagli operatori anche affinché la società venga risarcita dei danni derivanti dalle assenze dal servizio, dalle cure e da eventuali menomazioni subite dalle donne e dagli uomini della Polizia penitenziaria.
Sarebbe assai singolare e difficilmente comprensibile se il Ministero della Giustizia chiedesse di costituirsi parte civile solo quando i procedimenti sono a carico di operatori accusati di aver malmenato detenuti e non anche al contrario.
Ad ogni modo facciamo fatica a immaginare madri e padri di famiglia, che per poco più di mille euro al mese rischiano quotidianamente l’incolumità e vadano sul luogo di lavoro a torturare i detenuti che la collettività ha affidato alla loro custodia.