La costante di Bubble non sarebbe 'costante': allo studio partecipa UniPi
La costante di Hubble, un parametro cosmologico fondamentale che serve per misurare il tasso di espansione dell’universo, in realtà, secondo gli scienziati, non sarebbe costante. La scoperta arriva da una nuova ricerca pubblicata su “The Astrophysical Journal” e condotta da un team internazionale composto dalla capo progetto Maria Giovanna Dainotti (National Astronomical Observatory del Giappone), Biagio De Simone (Università di Salerno), Tiziano Schiavone (Università di Pisa & INFN), Giovanni Montani (ENEA e Sapienza Università di Roma), Enrico Rinaldi (Università di Michigan) e Gaetano Lambiase (Università di Salerno).
Secondo lo studio il valore della costante infatti non sarebbe fisso, ma si evolverebbe in base alla distanza cosmologica dell’oggetto studiato.
Gli scienziati sono arrivati a questa conclusione a partire dalla “tensione sulla costante di Hubble”, cioè una discrepanza fra misure indipendenti del tasso di espansione dell’Universo. Nello specifico, i valori non statisticamente compatibili sono i dati forniti dai satelliti per lo studio della “radiazione fossile primordiale” (una mappa della luce residua dei primissimi fotoni liberati nell’Universo, solo 380000 anni dopo il Big Bang) e quelli ricevuti dalle Supernovae di tipo Ia (SNe Ia) (violente esplosioni stellari, che nel 1998 hanno portato alla scoperta che l’Universo si sta espandendo in maniera accelerata).
“Conoscere il valore della costante di Hubble - sottolinea Tiziano Schiavone, dottorando in Fisica dell’Università di Pisa & INFN - è fondamentale perché insieme ad altri parametri cosmologici, serve a stimare ad esempio l’età dell’Universo, la distanza di oggetti molto lontani da noi ed il destino ultimo dell’espansione dell’Universo”.
“Per testare se la costante di Hubble fosse effettivamente costante - spiega Giovanni Montani del Dipartimento di Fisica della Sapienza - abbiamo preso un campione di SNe Ia ordinandolo in base alla loro distanza da noi, distanza che poi abbiamo suddiviso in tanti piccoli intervalli. A quel punto, attraverso un intenso lavoro di analisi dati svolto nei nostri laboratori, abbiamo ottenuto delle stime della costante di Hubble all’interno di ciascun intervallo”. Da qui la sorpresa: la costante di Hubble sembra infatti manifestare una lenta e inattesa evoluzione al variare della distanza il che spiegherebbe quindi, la discrepanza fra le misure indipendenti, radiazione fossile primordiale e SNe Ia.
“La tensione sulla costante di Hubble è un argomento di notevole interesse, poiché potrebbe essere un segnale che qualcosa non va nell’attuale modello cosmologico standard – conclude Schiavone - Se l’effetto da noi osservato non è dovuto ad effetti sistematici delle Supernovae di tipo Ia non considerati, allora la possibile decrescita della costante di Hubble rappresenta un sintomo di un effetto evolutivo nascosto. Questo apre la strada a molteplici scenari interpretativi in cui si potrebbero testare, ad esempio, modelli di gravità modificata. Tuttavia, la questione rimane aperta, si tratta di una sfida che sprona sempre più i ricercatori a trovare una naturale spiegazione all’annosa tensione sulla costante di Hubble”.
Fonte: Università di Pisa - ufficio stampa