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Paolina Bonaparte pagò la villa all'Elba in diamanti

Lo scoglio della Paolina, vicino a Marciana, dove (narra la leggenda) la sorella di Napoleone, Paolina, amasse prendere i bagni di sole (Foto Roberto Ridi)

«Cette acquisition ... pour le seul et prope compite de la princesse Pauline Borghese, avec le prix d’un certain nombre de diamants...» Dall’archivio storico della diocesi di Massa Marittima e Piombino è emerso un documento di grande importanza: l’oggetto è l’acquisto della villa San Martino, a Portoferraio, in cui Napoleone avrebbe posto la sua residenza privata durante i dieci mesi in cui fu confinato nel principato dell’Isola d’Elba, il piccolo stato creato appositamente dopo il trattato di Fontainebleau perché l’imperatore ormai decaduto potesse esserne il sovrano.

Il documento, di cui viene data notizia sul numero di Toscana Oggi questa settimana, attesta che ad acquistare la villa fu la sorella, Paolina Bonaparte (sposa del principe Camillo Borghese) che, in viaggio verso Napoli, il primo di giugno del 1814 fece visita al fratello. In quell’occasione dette al generale Bertrand l’ordine di acquistare dal direttore del Demanio Imperiale, il signor Lapi, una villetta non distante da Portoferraio pagandola «con il prezzo di un certo numero di diamanti che ella aveva recuperato di sua persona».

Villa San Martino fu dunque comprata a nome di Paolina stessa che ne divenne la proprietaria, benché solo di nome perché di fatto l’unico padrone e abitante fu sempre il fratello Napoleone, che si serviva dell’altra casa, la Palazzina dei Mulini nella parte alta di Portoferraio, per l’attività pubblica.

«Il documento - spiega Giovanni Malpelo, direttore dell’archivio storico diocesano di Massa Marittima - affiora tra le serie archivistiche in maniera curiosa tra i molti faldoni. Porta una descrizione (di mano recente, di non molti decenni scorsi) nella camicia di conservazione che non corrisponde però al vero: “Discorso del direttore Lapi agli elbani”».

Non si conoscono i motivi per cui questa certificazione sia arrivata proprio qui, in un archivio ecclesiastico: «forse - ipotizza Malpelo - servì da materiale di riuso per foderare libri o registri, come testimoniano delle tracce di colla e la vistosa tagliatura iniziale, pratica molto usata fino a un recente passato per tutto ciò che poteva essere considerato “vecchio” e non più di alcuna utilità... ma le vicende degli archivi elbani e piombinesi durante il periodo napoleonico e soprattutto dopo la sua partenza dall’Isola d’Elba sono ancora tutte da scrivere».

«In ogni caso - conclude - dobbiamo ringraziare colui che, non conoscendo o forse facendo finta di non conoscere la lingua francese, ha fatto sì che questo foglio, fuorviando con un’errata descrizione probabili occhi malintenzionati che avrebbero potuto accedere in un archivio per troppi anni rimasto incustodito, si conservi ancora oggi e possa essere restituito liberamente e nella totale gratuità alla fruizione di tutti, degli utenti, degli studiosi e dei visitatori».

Fonte: Toscana Oggi

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