Fitofarmaci in agricoltura, 56 denunce e un milione di euro di multa
Fitofarmaci illeciti usati in agricoltura. I carabinieri forestali di Pistoia sono giunti a denunciare 56 persone dopo due anni e mezzo di indagini, accertando centinaia di violazioni amministrative e penali a carico di decine di aziende agricole che utilizzavano i prodotti chimici (insetticidi, fungicidi e diserbanti) con autorizzazione al commercio revocata, in alcuni casi, anche da diversi anni.
Sono state compiute 4 perquisizioni verso rivenditori di prodotti per l'agricoltura, 24 sono stati invece i sequestri di rifiuti agrochimici con sostanze pericolosi. È stato accertato inoltre che 3 tonnellate di prodotti revocati sono stati detenuti illegalmente e 2,8 tonnellate sono stati riversati nei campi coltivati.
Le sanzioni hanno raggiunto il milione di euro.
L'attività di controllo in questo settore è di particolare importanza in quanto non solo tende alla protezione dell'ambiente ma soprattutto alla tutela della salute umana. I fitofarmaci, infatti, se non correttamente utilizzati, finiscono nella catena alimentare e possono potenzialmente creare problemi alla salute umana.
A seguito di alcuni controlli a campione risultati sempre irregolari, il Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale Agroalimentare e Forestale di Pistoia ha effettuato una serie di accertamenti mirati che hanno riguardato sia attività di commercio che di impiego diretto nei vivai o in aziende a produzione di ortaggi destinati ad essere immessi nel circuito della grande distribuzione e quindi all’alimentazione umana.
Le attività illecite accertate hanno visto medi e grandi rivenditori di prodotti agricoli che continuavano a vendere ai coltivatori toscani prodotti fitosanitari con autorizzazione del Ministero della Salute “revocata” già da molto tempo, in alcuni casi anche da diversi anni. Gli agricoltori, spesso ignari, provvedevano quindi a spargere sui terreni e sulle loro colture, anche agroalimentari, prodotti chimici che avrebbero dovuto essere invece destinati allo smaltimento come rifiuti speciali.
Il fatto che la normativa di settore preveda che i soggetti coinvolti nel commercio e utilizzo tali prodotti, proprio per la loro pericolosità per l’ambiente e per la salute pubblica, debbano essere muniti di apposito “patentino” esclude “l’ignoranza scusabile” e conferma il dolo da parte di queste aziende coinvolte che in effetti traevano un doppio profitto da tale condotta: da una parte risparmiavano i costi di smaltimento dei rifiuti speciali e dall’altra fatturavano introiti da prodotti in realtà invendibili.