Alienazione stadio, Csa Intifada: "Privatizzazione di un bene pubblico non è mai una bella notizia"
L’ipotesi di privatizzazione di un bene pubblico non è mai una bella notizia. Meno ancora, quando questo bene è lo stadio della propria città, quel luogo dove migliaia di persone hanno vissuto emozioni e praticato passioni per il loro lo sport preferito e la squadra del cuore. Quindi, la nostra posizione sulla proposta avanzata dal comune di Empoli per alienare lo stadio Carlo Castellani è chiara: non si devono alienare beni pubblici e non si devono dare in mano alla gestione privata dei beni che interessano un’intera collettività.
Se questa ipotesi non ci piace, nemmeno ci stupisce. Sono ormai decenni che il mantra delle privatizzazioni è stato adottato dalle istituzioni di tutti i livelli, generando un discorso per il quale l’inserimento di beni e servizi pubblici nei circuiti del mercato e nella gestione dei privati è la soluzione più efficiente. Ma soprattutto, ci dicono, è la soluzione inevitabile, di fronte alle difficoltà finanziarie delle istituzioni pubbliche e alla gestione a volte poco funzionale degli attori pubblici.
Mettere in discussione questo discorso così apparentemente reale e concreto non è facile, meno che mai proporre alternative fattibili. Allo stesso tempo, metterlo in discussione è una necessità, perché questi ultimi decenni di privatizzazioni hanno mostrato che il discorso dell’efficienza della gestione privata porta benefici e profitti ai grandi attori economici ma di solito non genera migliori servizi e prezzi ai cittadini.
Nel caso specifico dello stadio Carlo Castellani, quello che ci preoccupa è che l’ipotesi della sua alienazione e dei progetti che si sono pensati si inserisce in una tendenza tipica di questi anni e perversa, per cui lo sport più popolare del nostro paese, ambito di passioni popolari e di emozioni genuine, sia subordinato sempre più alle logiche della merce e del profitto, dove i veri protagonisti non sono coloro che vivono lo sport in prima persona come i tifosi, ma gli sponsor e le televisioni. Stadi che diventano centri commerciali, non solo in senso metaforico, in non luoghi dove i frequentatori sono pensati solo come clienti che spendono, invece che spazi di socializzazione e di divertimento. Ma anche stadi che diventano sempre più dei luoghi di vigilanza e disciplinamento dei gruppi ultras, che ingabbiano le passioni e le identità collettive dentro le misure repressive.
Tutti questi sono gli stadi che non vogliamo, perché non migliorano l’esperienza collettiva del tifo e la passione per la squadra del cuore, ma solo i portafogli dei grandi attori economici. Per questo auspichiamo che si trovi una soluzione dignitosa per lo stadio Carlo Castellani e per le infrastrutture sportive del nostro territorio, che sfugga al ricatto della privatizzazione come unica soluzione possibile e alla presunta fattibilità misurata solo in termini finanziari. Ma invece è necessario partire dal riconoscimento dell’importanza dei beni pubblici per la collettività di un territorio e da proposte che siano pensate prima di tutto in funzione dell’interesse di essa.
CSA Intifada-Comunità in Resistenza Empoli