Nello studio di Domenico Conforte
Uno spazio di lavoro che si apre nella parte inferiore della sua casa, in quello che era forse destinato ad essere un magazzino o un deposito per gli attrezzi, ma che adesso ospita lo studio di Domenico Conforte, un luogo di cui non si può parlare se non si tiene conto della natura che lo circonda, l’orto giardino di questo che, prima di tutto, è un artista della terra; ciò che è lì intorno è già una straordinaria opera d’arte, è quello il suo vero studio.
Ce ne rendiamo conto quando assaggiamo il suo olio, prodotto nella oliveta che nel tempo è venuta crescendo; quando osserviamo le forme degli alberi che lui stesso ha piantato, modellate con amore e antica maestria; quando ci fa assaggiare i pomodori, senza condimento alcuno, solo col gusto della buona terra di queste colline e valli; quando ci racconta la sua infanzia, tra Ruoti e Bella, in Lucania, con una scuola troppo lontana per essere raggiunta da lui fanciullo, ma che poi – sebbene in ritardo – avrebbe frequentato, accompagnato ogni mattina, dall’asino e dal nonno.
Sono insomma memorie belle quelle che Conforte rievoca, soprattutto quando narra una natura viva, che si snoda intorno a lui, una natura che parla, che interloquisce. Ricordi belli, anche più belli di quelli dell’Istituto d’Arte di Salerno o dell’Accademia a Firenze, quei luoghi dove Domenico incontrò maestri importanti, come Afro Basaldella e Vinicio Berti, ambedue per un’arte che sceglieva astrazione o informale. Un’arte che comunque, Conforte aveva già dentro di sé, sebbene ancora non lo sapesse.
Era l’arte della sua terra, quella lasciata lì dagli antichi. L’ho scritto, presentando una sua mostra realizzata pochi anni fa nel Museo archeologico di Potenza; notavo come eravamo finalmente nel luogo giusto, per comprendere a pieno i suoi quadri. Quando dipinge infatti Demetra o Afrodite, Flora, rapportando queste figure alla natura, capiamo di più il suo lavoro, ma capiamo di più anche quelle divinità, il messaggio ancora vivo e vitale che possono rappresentare, proprio nel loro essere parte della natura, con le messi, le piante e tutto il resto.
Il percorso espressivo di Conforte, quello che possiamo ammirare anche nelle opere recenti – messe lì a punteggiare lo studio di via Ribaldinga -, è comprensibile fino in fondo solo se si tiene conto di queste premesse: la natura che è fuori dalla porta, entra insieme a lui, è prima attrice nei suoi quadri.
Lo spazio di questo studio è molto semplice, una stanza allungata, a pianta rettangolare, non grande, solo con una porta a vetri, priva di finestre.
Ma sono proprio i suoi quadri, i loro colori sempre vicini all’azzurro e al verde, raramente al bruno, che aprono alla luce, che illuminano il visitatore.
Ricordiamo le sue opere più vecchie, quelle datate nei primi anni 70, che Conforte ha esposto in una bellissima mostra tenuta nel 2014, proprio nel più prestigioso palazzo di San Miniato, la sede della Fondazione Cassa di Risparmio, in Palazzo Grifoni. In queste opere già si vedevano gli intrecci delle radici, l’insorgere nervoso della natura, il fluire calmo delle stagioni. La mostra di Palazzo Grifoni, poco più di sei anni fa, era la sua prima grande esposizione, una vera e propria antologica, con opere realizzate in quarant’anni di lavoro. Opere che hanno stupito i più, giacché erano note solo a pochissime persone, il suo discorso sull’arte è stato, in tutti questi anni, secondario al suo insegnamento nella scuola, anche quello comunque di storia del’arte, di tecniche artistiche.
Nelle sue prime opere c’erano già “Radici e germogli” – questo, non a caso, il titolo scelto per quella mostra. Poi di esposizioni ne sarebbero seguite molte, in situazioni importanti, in varie parti d’Italia, fino all’Expo di Milano o ai luoghi sacri di Assisi, mostre di valore, volute da critici prestigiosi, come Giammarco Puntelli, con partners internazionali, tra gli altri Alexander Kanevsky.
Kanevsky che vive a Philadelphia, sebbene sia nato in Russia, è un pittore ancora giovane (1963), che certamente ha letto in Domenico (1947) un amore per la sperimentazione, sia nei soggetti che nella materia. Da tempo ad esempio Conforte si confessa interessato alla scultura, vorrebbe esplorare gli intrecci che crea nei suoi quadri in maniera plastica, attraverso la creta, ma anche materie come la pietra o il marmo.
A Salerno era diplomato ceramista, credo che lì abbia maturato una certa esperienza. Anche per questo ci incuriosiscono i risultati, già i suoi quadri hanno un corpo, mostrano l’interesse per la dimensione, la profondità delle forme. Sono già segni da scultore, appunti di materia viva.
Nel suo studio ci sono tracce del suo procedere, della sua ricerca, non sono esclusi i tentativi, a volte anche gli errori. C’è tra l’altro un quadro - lo scopriamo non ancora finito -, che ha realizzato con i colori a olio, alla ricerca forse di una maggiore forza espressiva. Sta pensando al tipo di colore, prova, proverà ancora.
Anche i suoi quadri, in parte già descritti, mostrano novità, l’uso di colori più vicini alla natura, i bruni della terra ad esempio, dei tronchi degli alberi. Dall’osservazione nascono spesso suggerimenti visivi, dalle radici, dai tronchi nasce Flora. Conforte li mostra nella loro trasformazione, mentre si intrecciano nei busti contorti degli olivi; l’artista vi immagina volti antichi, vecchi saggi, divinità dei boschi.
Sono i colori che a volte danno nuove suggestioni, il sovrapporsi della radici assume come sempre dimensioni antropomorfe, ma tutto diventa più misterioso, direi meno leggibile. Senz’altro è un percorso interessante, non sappiamo dove condurrà: Conforte continua ad attraversare opere che hanno valore assoluto, e altre dove il messaggio è più esplicito, dove l’artista scopre di più il significato, come se – nei tempi che stiamo attraversando – lui non potesse far a meno di dire la sua, di stendere manifesti, su una natura depredata, distrutta, che forse si vendica, facendoci per ora solo intuire il disastro ambientale a cui sembriamo predestinati.
Domenico ne è turbato, come e più degli altri, anche se – uscendo all’aperto – lui continua a guardare le sue piante, le creazioni della natura, quelle che lui ha aiutato a crescere.
Accenna un sorriso, che vuole dire speranza.
Speriamo. Domenico Conforte ci indica la strada, in ogni sua opera.
Cronaca di Andrea Mancini