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Elezioni USA 2020, cosa c'è da sapere: la vigilia della sfida Trump-Biden

Il Professore UniPi Rino Casella ha risposto alle nostre domande

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Elezione USA 2020. Candidati: Repubblicani (in carica) Donald Trump presidente e Mike Pence vicepresidente.
Democratici Joe Biden presidente e Kamala Harris vicepresidente

Elezioni Usa: siamo giunti alla vigilia del martedì successivo al primo lunedì di novembre, che detto così può non significare granché, ma il fatto che quel giorno sia collocato nell’anno elettorale, gli fa assumere un altro sapore in vista del nuovo inquilino alla Casa Bianca. Chi sarà il 46° presidente degli Stati Uniti d’America tra Donald Trump, attualmente in carica, e Joe Biden?

Martedì 3 novembre 2020 è il giorno dell’Election Day, delle elezioni presidenziali USA o per meglio dire, è l’ultima data utile per votare. Infatti, come scopriremo in questo articolo, tante sono le cose da sapere sui metodi elettivi americani, come che molti cittadini hanno già espresso il loro voto per posta o anticipatamente, come che si tratta di voti popolari che sono convertiti ai ‘grandi elettori’ in una competizione tra sfidanti inserita in un sistema di punti e chi ne totalizza di più, ovviamente, vince.

E poi ancora, che clima si respira in questo 2020 segnato da eventi a carattere mondiale, perché in fin dei conti sono praticamente sempre solo due i contendenti alla Casa Bianca e infine, chi sono questi personaggi e perché le elezioni a stelle e strisce pesano così tanto a livello internazionale.

Con l’intervista di gonews.it a Rino Casella, Professore di Diritto pubblico comparato al Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa, entreremo nel vivo del tema.

Quindi mettetevi comodi, allacciate le cinture, aprite il cervello, ordinate un cheeseburger e si vola negli States.

Come funzionano le elezioni negli Stati Uniti

Quest’anno, come ogni 4 anni, si vota per eleggere il presidente, il vice presidente (Mike Pence per Trump e Kamala Harris per Biden) ma non solo, verrà rinnovato anche il congresso come accade ogni due anni e un terzo dei seggi del senato. Anche all’interno di ogni Stato gli elettori sono chiamati ad esprimersi su altre figure istituzionali.

Come avrete capito le elezioni negli Stati Uniti d’America non sono immediate da capire, questo perché si basano su sistemi completamente diversi da quello italiano e da quello Europeo. Innanzitutto perché gli USA sono una Repubblica federale, ovvero i 50 Stati che ne fanno parte devono essere elettoralmente pesati tutti a prescindere dalla grandezza, e godono di una certa autonomia decisionale anche su questioni rilevanti, dalla sicurezza all’economia.

In generale, nonostante gli aspetti specifici interni ad ogni Stato, le elezioni negli USA sono di fatto elezioni semi-dirette, questo perché i cittadini aventi diritto al voto eleggono i grandi elettori parte del Collegio elettorale che, a sua volta, eleggeranno il Presidente degli Stati Uniti d’America. I grandi elettori però non sono in numero uguale in tutti gli Stati, ma variano a seconda della popolazione. Per fare un esempio, la California è lo Stato che ha più grandi elettori ovvero 55 mentre il Montana, insieme ad altri, ne ha solo 3. Il metodo è questo: chi, tra i candidati, si accaparra più voti negli Stati non prende solo il numero che ha conquistato, ma “vince” tutti quelli che sono in palio. Questo sistema può generare situazioni inaspettate come che non vinca il candidato che ha ricevuto più consensi popolari, ma quello che ha semplicemente conquistato più “punti”.

Il Collegio elettorale conta 538 grandi elettori, ovvero il totale dei “punti” e vota le cariche di presidente e vicepresidente a maggioranza assoluta. Quest’ultima si colloca dunque a quota 270. Ogni candidato ha la sua lista di grandi elettori, in questo caso, democratici o repubblicani.

Martedì 3 novembre ogni Stato procederà quindi al conteggio dei propri voti popolari, convertendoli in grandi elettori. A Dicembre il Collegio elettorale si riunirà per un’ultima formale votazione, quella del presidente.

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Grandi elettori, o 'punti', presenti nei 50 stati

Diritto di voto: come si ottiene, voto postale e anticipato

Oltre 90 milioni di americani hanno già espresso il voto. Come? O recandosi al proprio seggio di persona o tramite posta. L’emergenza Coronavirus ha sicuramente inciso sulla decisione di molti elettori di prendere parte all’Early Voting, per non incontrare troppe persone e magari creare assembramento, o di inviare la propria scelta chiusa in una busta. Queste possibilità esistono da sempre anche perché gli Stati Uniti, essendo un paese enorme, è come se dessero tempo e modo a chi vive lontano dal proprio seggio di poter votare in tempo. Il voto postale è eseguito secondo modalità sicure ma il rischio dei ritardi c’è, ovvero che arrivino oltre il termine prestabilito, e in ogni caso dovranno essere poi aperte e conteggiate.

C’è anche da sapere che per essere elettori negli USA non serve solo compiere 18 anni come in Italia, recarsi al proprio seggio con tessera elettorale e documento di identità e votare. I cittadini americani, compiuta la maggiore età, devono infatti iscriversi alle liste elettorali per poter esercitare il diritto di voto.

Il bivio che porta ai repubblicani, Trump, o ai democratici, Biden, crea di fatto una scelta tra due persone, per dirla coi colori con cui si identificano i due partiti, o rosso o blu. È lo stesso sistema elettorale americano che favorisce questa composizione, tra due opzioni, ma in realtà i candidati sarebbero di più, che conquistano però una percentuale molto bassa di voti.

La notte tra il 3 e il 4 novembre sarà dunque una notte calda, di attese che probabilmente si prolungheranno, ma forse anche di contestazioni. Il resto del mondo potrebbe svegliarsi e leggere sui giornali chi sarà il nuovo presidente, o forse dovrà ancora attendere.


Intervista al Professore UniPi Rino Casella

I sondaggi e l’opinione pubblica danno Biden per vincitore ma, come storia e scorse elezioni 2016 Trump vs Clinton insegnano, negli USA non è facile dare un giudizio preventivo. Perché?

"I sondaggi che registrano una tendenza o percentuale a livello nazionale, cioè comprendente tutti i territori nazionali, non hanno rilevanza ai fini della vittoria di un candidato rispetto all’altro. Questo perché le elezioni costituzionalmente non avvengono su scala nazionale ma statale". Tra i 50 Stati alcuni si rispecchiano in una tradizione Repubblicana, altri Democratica ma “vince e va alla Casa Bianca chi riesce a conquistare gli swing states, Stati che giocano un ruolo importante, e sono diversi in questa elezione come Florida, Pennsylvania, Arizona e altri, che non hanno un orientamento ben chiaro. Nel 2016 paradossalmente la Clinton fu sconfitta perché nonostante avesse 3 milioni di voti in più perse di pochissimo in alcuni Stati chiave e questo portò Trump a vincerli, ad assicurarsi i voti dei grandi elettori, dei ‘punti’.

Le combinazioni oggi sono infinite, alcuni Stati sono assolutamente importanti, la Florida è uno stato incerto ma decisivo. Se Trump perde la Florida i sondaggisti dicono che ha meno dell’1% di possibilità andare alla Casa Bianca”. Un verdetto che potrà essere sul filo del rasoio fino all’ultimo: “Può succedere di tutto, anche il Texas, tradizionalmente repubblicano, segnala da giorni un’inversione di tendenza”. Con 38 grandi elettori “se Biden lo conquista va direttamente alla Casa Bianca”.

È dunque un “sistema un po’ strano ma non potrebbe essere diversamente, perché è uno Stato federale, tutti, anche gli Stati piccoli, hanno la loro importanza e alla fine possono essere decisivi”.
Dunque, “nessuno può fare previsioni, ma tutti concordano anche i più equilibrati che Trump non vincerà con il voto popolare, magari con quelli elettorali, ed è chiaramente un segnale di un sistema che non è che funzioni benissimo. Il voto popolare conta, prima era un’eccezione ora sta diventando una regola e quindi forse gli americani dovrebbero cominciare a studiare un sistema diverso per eleggere il presidente”.

Emergenza Covid e la sua gestione, fatti di Minneapolis con l’uccisione di George Floyd. Due episodi che nel 2020 hanno scosso l’America (e il mondo) come possono influire nelle elezioni?

Sono due elementi decisivi per queste elezioni”. Anche durante la campagna elettorale la gestione della pandemia si è dimostrata diversa per i due candidati: “Trump ha difeso il suo operato e cercato di sminuire la gravità, ha promesso l’arrivo dei vaccini, ha cercato di sfuggire alle accuse di aver gestito l’emergenza con leggerezza, e ancora oggi continua a riproporre temi che in Europa definiremmo propri dei negazionisti. Biden ha invece imbastito la sua campagna elettorale all’opposto, sulla gravità della situazione, che gli Stati Uniti debbano affrontarla con tutto il loro enorme potenziale in termini di mezzi e di risorse e questo si vede anche negli ultimi spot. Trump ha fatto vedere che arriva ai comizi senza mascherina, in quelli di Biden si vedevano gli ospiti all’interno dei cerchi, distanziati e con i dispositivi di protezione. Due disegni completamente diversi”.

I can’t breathe”. Lo ha ripetuto fino alla fine George Floyd, soffocato da un poliziotto a Minneapolis e deceduto il 25 maggio 2020. Una goccia che ha fatto traboccare un vaso già all’orlo. “Tocca un nervo scoperto nella storia americana. Dopo 60 anni dalla marcia di Martin Luther King, l’America si scopre ancora una volta vittima di fenomeni di razzismo, certamente diversi dal passato, ma c’è un razzismo più insidioso che si evidenza nell’azione della polizia, sempre a senso unico, fatta di arresti violenti quando c’è un afroamericano e alla fine un rosario di episodi ha fatto scatenare una rabbia, che ripropone una differenza sociale ancora presente”. Un’integrazione che c’è stata ma che sembra non essere abbastanza, ancora, nel 2020. “Durante l’ultimo comizio Trump negava che ci fosse il razzismo e Biden ha detto –beh, io a mia figlia non gli raccomando di mettere le mani sul volante quando la ferma la polizia, per evitare fraintendimenti. Se fossi di colore dovrei insegnarlo ai miei figli-”.

Trump e Biden, due personaggi agli antipodi. Quali sono gli elementi di principale differenza?

Non potrebbero essere più diversi, ma c’è un elemento di profonda differenza rispetto al 2016. Trump era un’incognita, l’outsider, era un candidato esterno che ha vinto tutte le primarie per il partito repubblicano”. Nonostante lo slogan ‘Make great America again again’ "è difficile che riesca a presentarsi di nuovo così, stavolta è il presidente, le elezioni premiano sempre chi è all’opposizione specialmente in un momento di crisi come questo.

Biden non è un candidato come la Clinton, meno controverso, maschio, anziano, centrista, senatore da molti anni. Ha una storia particolare, ebbe vicende personali terribili, perse in un incidente stradale la moglie e un figlio, di recente ha perso anche un altro figlio per una grave malattia. È una persona che ha un atteggiamento molto compassionevole, diverso dalla durezza caratteriale tipica di Trump, che ci ha abituato a comportamenti a volte bizzarri e imprevedibili.

Trump è il candidato di rottura rispetto al vecchio estabilishment repubblicano, però è un candidato fortemente sostenuto dalla base, gli elettori vogliono lui. La stessa cosa non si può dire del tutto di Biden, candidato centrista, che costantemente deve garantirsi l’appoggio dell’ala più a sinistra. Non ha questo sostegno così massiccio ma ha avuto la capacità di ripetere l’operazione di Obama nel 2008 (del quale fu suo vicepresidente), cercando di riproporre una maggioranza raggruppando le minoranze e componendo il partito nelle sue differenze, in un programma unitario”.

Perché le elezioni presidenziali USA sono così importanti a livello mondiale?

Per la curiosità, anche perché sono elezioni diverse dalle nostre. La politica americana si rinnova di continuo, è piena di sorprese. Obama era sconosciuto e poi è diventato presidente, è un sistema che premia i cambiamenti. A differenza dell’Europa ci sono stagioni politiche nuove, nel quale è difficile raggiungere compromessi, o vince uno o vince l’altro, e dunque è una competizione politica che affascina molto”.

Oltre all’interesse, però, gli USA bene o male pesano su tutto il planisfero: “Nel mondo globalizzato ciò che decide il presidente degli Stati Uniti ci riguarda direttamente”. La cosa curiosa è che sono elezioni a livello globale, le scelte di presidenti con poteri enormi, tra cui l’armamento atomico, influenzano tutto il mondo, ma sono decise “a livello locale. Il voto di un cittadino in Pennsylvania ricorda il battito di ali della farfalla, che può scatenare un temporale dall’altra parte del mondo.

Secondo il suo parere, quale sarà il risultato di queste sentite elezioni 2020?

Essendo che ci sono molti voti per posta è difficile sondare adesso chi vincerà. Trump ha detto che potrebbe contestare il risultato delle elezioni. Se uno dei due dovesse vincere di poco in Stati molto importanti e magari questi voti arriveranno in ritardo o saranno discussi, non potremo sapere subito chi ha vinto. Al contrario ci potrebbe essere una vittoria valanga. Tutti dicono che se vince Trump sarà la fine lavorativa dei sondaggisti, cambieranno mestiere. La probabilità che vinca Trump si avvicina a quella che piova a Los Angeles” dove l’ombrello serve circa 34 giorni l’anno. “Il sondaggio è come il rigore, una percentuale 1 su 5 ma i rigori qualche volta vengono parati. I sondaggisti nel 2016 non è che sbagliarono, ma la vittoria di Trump rientrava nell’incertezza, oltre alle relative questioni matematiche e di conteggio negli Stati”.

Il Professor Casella ci ha lasciato dunque con tre scenari possibili. Il primo, “Secondo me è avvantaggiato Joe Biden” ha affermato, e dunque la vittoria del candidato democratico. Gli altri due scenari sono che si ripresenti la situazione del 2016 o infine che le elezioni vengano contestate, e per giorni non ci sarà certezza sul vincitore.


Sta per suonare la campanella che chiuderà la campagna elettorale. Dall’altra parte del mondo c’è chi non dormirà per seguire gli spogli. Il sogno americano, quello dei grandi palazzoni o delle immense distese costeggiate dai canyon, quello del ‘self-made man’, quello del mondo che corre all’impazzata ma che dà speranza di emergere dal basso, attrae pubblico da tutto il mondo. Una platea di stranieri che segue una politica in cui spesso dire ciò che non ha fatto l’altro, invece di enunciare le proprie qualità, vince. Un sistema che piano piano, politicamente parlando, sta diventando anche nostro.

Non resta che attendere, stay tuned.

Margherita Cecchin

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