Al Teatro Manzoni 'Teoria del numero perfetto applicata alle storie dell’utopia socialista' di Antonio Fazzini e Filippo Renda
Venerdì 18 settembre Avamposti Festival approda al Teatro Manzoni di Calenzano (Firenze), storica sede del Teatro delle Donne che organizza il festival: “Teoria del numero perfetto applicata alle storie dell’utopia socialista - ovvero l’impossibilità di dialogare” è lo spettacolo di Antonio Fazzini e Filippo Renda dedicato all’incontro “impossibile” tra un matematico e un attore, ospiti di un dibatto.
Il primo, fresco di dottorato in una prestigiosa università, cerca di divulgare il rapporto, a suo dire simbiotico, tra arte e matematica. Il secondo ha una storia famigliare che l’ha portato a incontrare alcuni dei più grandi teorici e attivisti rivoluzionari, alcuni dei quali morti da secoli. Presto capiscono in fretta di non aver nulla in comune.
“Teoria del numero perfetto applicata alle storie dell’utopia socialista” racconta quella società che si nutre di disillusione, che gode del dubbio di non essere più in grado di inventare storie.
Lo spettacolo, scritto da Filippo Renda, è uno studio produttivo frutto della residenza artistica della compagnia Idiot Savant: “Uno studio consapevole di non poter arrivare alla propria realizzazione – spiega l’autore - perché il teatro è morto, perché l’arte è morta, perché il pensiero critico è morto. In questo Aspettando Godot, Godot non arriva perché è stato legato e nascosto in cantina da Vladimiro ed Estragone”.
La serata si svolge nel rispetto del norme anti-Covid e per accogliere il maggior numero di spettatori sono previste due recite, alle ore 19 e alle ore 22. Basta prenotarsi via telefono allo 055.8877213 – o via mail a teatro.donne@libero.it - o acquistare il biglietto il prevendita nei punti Box Office Toscana e online su Ticketone. Ingressi da 5 a 15 euro, riduzioni per over 60, under 25, Coop, Arci, Uisp, ATC, residenti a Calenzano.
NOTE DI REGIA - La scrittura contemporanea ha un rapporto stretto col senso di fallimento. Quel processo di identificazione tra soggetto e oggetto cominciata col postmoderno è ormai tristemente sfociata, in letteratura, in una sterile pornografia di sé; le case editrici richiedono all’autore di essere la propria opera, ma lontani dal concetto di ready-made e della morte del manufatto: l’artista non mira a trasformare la propria vita in arte, il normale in eccezionale, fa accadere sostanzialmente l’opposto. Le vite diventano dirette streaming nelle quali non accade nulla, e vuoto e senso di vuoto riempiono interminabili intervalli di tempo. Siamo nell’epoca del piccolo nulla, e le storie – se così si possono ancora chiamare – si nutrono della celebrazione del superfluo. Il rapporto col fallimento non ha più dunque nulla di romantico: è un fallimento quotidiano, quasi invisibile, essenzialmente inutile e noioso. E come già trecento anni fa cercava di insegnarci Defoe, anche un evento eccezionale come una spaventosa pandemia è solo una piccola parentesi che ci separa dal ritorno allo squallido ordinario: nessuna rivoluzione, nessun nuovo inizio, solo la vecchia, stupida vita.
E il teatro? Come ormai siamo abituati a vedere il teatro arriva in ritardo al banchetto della storia dell’arte. Quello che in letteratura è già decadente, nelle platee è una succulenta novità: e allora via di autobiografie insulse, patetiche, noiose ma consegnate al pubblico con la severità ormai tipica dell’arte drammatica, attraverso quel rapporto basato sul senso di colpa e che ormai da decenni impone al pubblico italiano di rimanere immobile e in assoluta contemplazione mentre sul palco accade il miracolo della finzione scenica.
Teoria del numero perfetto applicata alle storie dell’utopia socialista si inserisce perfettamente in questo contesto. Racconta quella società che si nutre di disillusione, che gode del dubbio di non essere più in grado di inventare storie. I personaggi sono clown sfigati abbandonati dal proprio autore. È infine uno studio consapevole di non poter arrivare alla propria realizzazione, perché il teatro è morto, perché l’arte è morta, perché il pensiero critico è morto. In questo Aspettando Godot, Godot non arriva perché è stato legato e nascosto in cantina da Vladimiro ed Estragone.
Filippo Renda
AVAMPOSTI TEATRO FESTIVAL - “Lezioni di respiro” – dal romanzo di Anne Tyler - è il titolo scelto per la nuova edizione di Avamposti Teatro Festival – fino al 20 settembre a Firenze, Calenzano e Sesto Fiorentino - organizzata dal Teatro delle Donne di Calenzano (Firenze), con il contributo di Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, Regione Toscana, Fondazione CR Firenze, Città Metropolitana e Comune di Calenzano, Intercity Festival, in collaborazione con Comune di Firenze_Estate Fiorentina, Quartiere 4, Rat, Unicoop Firenze.
Programma completo e dettagli sul sito ufficiale www.teatrodelledonne.com.
Fonte: Ufficio Stampa