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Fernando Aramburu e Boccaccio: "Arrivato nella mia vita da adolescente con Cervantes e Chaucer"

Fernando Aramburu

Fernando Aramburu (foto da Tusquets Editores Argentina Facebook)

“Avrò avuto 15 o 16 anni quando lessi Il Decamerone per la prima volta in lingua spagnola. Mio zio Nebreda, che andavo a trovare frequentemente per giocare a scacchi, aveva una piccola biblioteca. Mi prestava dei libri, tra i quali questo di Giovanni Boccaccio, del quale già si parlava nel manuale di letteratura universale della scuola, insieme a Dante e Petrarca”.

E’ quello che ci racconta Fernando Aramburu in spagnolo, raggiunto ad Hannover, in Germania, per un’intervista virtuale, affidata alla traduzione di Francesca Signorini, a pochi giorni dalla cerimonia di premiazione del “Boccaccio 2020”, che si terrà a Certaldo il prossimo 11 settembre, alle 21.30, al Teatro Cinema Boccaccio di Certaldo.

Fernando Aramburu è uno dei tre premiati della trentanovesima edizione del Premio letterario Giovanni Boccaccio, promosso e organizzato da quasi quarant’anni dall’omonima associazione, presieduta da Simona Dei. Insieme a lui, vincitore per la sezione narrativa internazionale, vi sono Ermanno Cavazzoni (narrativa italiana) e Giovanna Botteri (giornalismo).

Aramburu, nato a San Sebastián nel 1959, ha studiato Filologia ispanica all’Università di Saragozza e negli anni Novanta si è trasferito in Germania per insegnare spagnolo. Dal 2009 ha abbandonato la docenza per dedicarsi alla scrittura e alle collaborazioni giornalistiche. Ha pubblicato romanzi e raccolte di racconti, che sono stati tradotti in diverse lingue. Patria, uscito in Spagna nel settembre 2016, ha avuto un successo eccezionale e ottenuto, tra gli altri, il Premio de la Crítica. Pubblicato da Guanda nel 2017, ha conquistato anche i lettori e la critica italiani e nel 2018 ha vinto il Premio Strega Europeo e il Premio Letterario Internazionale Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Per Guanda sono usciti inoltre, nel 2018, il romanzo Anni lenti, e nel 2019 i racconti di Dopo le fiamme e la favola Mariluz e le sue strane avventure.

Fernando Aramburu, l'intervista

Di Boccaccio Fernando Aramburu è un estimatore. E’ proprio lui a raccontarci di quando è arrivato nella sua vita durante l’adolescenza. “Non so dire con certezza fino a che punto il suo libro più conosciuto mi abbia condizionato. Neppure escludo la possibilità che abbia lasciato qualche impronta nella mia opera attraverso altri autori classici; in special modo Cervantes e Chaucer. Attualmente, vedo in me una certa tendenza al realismo e un gusto simile per il dettaglio, e sono l’autore di un libro, Las letras entornadas, che è un esempio di narrazione incorniciata, inconsciamente influenzato dal Decamerone? Chissà”.

La sua produzione letteraria è vasta: romanzi, racconti, poesie, saggi, libri per ragazzi. Qual è il genere che sente intimamente più vicino alla sua vocazione?
Confesso che non ho preferenze. In ogni momento ho scritto quello che dovevo scrivere e quello che il corpo mi chiedeva. Ho un criterio che metto in atto, fuggire da quello che mi risulta facile. Così che se mi rendo conto che i racconti escono velocemente, passo ai romanzi e se vedo che un romanzo mi costa poca fatica, salto a un’altra cosa. Sempre con il desiderio di scoprire, superare ostacoli e provare un'opera che sia più complessa e varia possibile.

Il successo come scrittore la porta a viaggiare spesso. C’è un luogo, una città, dove vorrebbe vivere stabilmente?
Il mondo è pieno di luoghi meravigliosi. Forse questa meraviglia andrebbe persa, se uno dovesse stabilirsi in uno di questi luoghi con la propria quotidianità, con i suoi problemi di salute, il suo lavoro o i suoi debiti. Rimango dove sono, Hannover, città senza fascino per il turismo, ma dove vivo con la mia famiglia e dove mi trovo in ottime condizioni per scrivere.

Sempre più spesso il dibattito pubblico parla di ritorno dei nazionalismi, dei populismi e dei sovranismi. Quale futuro prevede per la nostra Europa?
Considero l’esperimento europeo un successo. Voglio che sia chiaro che non esistono i paradisi sociali; ma diciamo che la creazione di una unione democratica di Paesi, che è stata capace di trattenere un crescere secolare di guerre continue, sopprimere controlli alle frontiere e abbracciare i principi basici dell’umanesimo, è una fortuna senza precedenti. Come mantenere un grado così alto di civilizzazione in uno spazio condiviso, che denota chiare debolezze economiche e militari? Il mio sogno, magari irrealizzabile, è che un giorno, forse in un futuro lontano, quella che attualmente chiamiamo Unione Europea possa diventare una Unione Pacifica tra tutti i Paesi del mondo, quello che chiaramente è spiacevole per il nazionalismo, determinato a creare i suoi giardini chiusi.

Il Covid ci insegna quanto il presente e il futuro siano imprevedibili. Ritiene che faremo tesoro di questa lezione?
Sono propenso nel pensare no. Ora siamo impauriti e pensiamo di vivere un avvenimento che lascerà una profonda impronta nella memoria dell’umanità. Dal momento che la pandemia finirà, ognuno tornerà al suo. È successo con fatti infinitamente più tristi: le guerre mondiali, per esempio. La mal chiamata febbre spagnola dell’inizio del XX secolo uccise una quantità molto più grande di essere umani rispetto all’attuale Covid. Abbiamo l’impressione di aver imparato qualche lezione dall’accaduto? Altro discorso sono le probabili trasformazioni economiche o sanitarie. Queste sì che lasciano tracce nell’umanità. O artistiche e letterarie. Forse Boccaccio ci induce a ricordare la peste nera?

Sta lavorando a un nuovo progetto?
Sono in una fase di grande attività, chiuso in casa e approfittando del fatto che non viaggio. Se tutto va come previsto, nel 2021 avrò concluso un lungo e nuovo romanzo.

Fonte: Premio Letterario Giovanni Boccaccio

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