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Quei 2 – Le Casine IGT Toscana Bianco 2017: la personalità inaspettata del Trebbiano
Mi piacciono i vini che hanno una vena anarchica, controcorrente, dal carattere fiero e un po’ ribelle, sono quelli che più trasmettono emozioni, che rimangono impressi nella mente. Il vino di cui scrivo oggi è uno di quelli.
Partiamo dal principio; siamo all’inizio del decennio appena terminato, Alessandro e Martina Faggioli sono entrambi ingegneri meccanici che, nonostante i successi conseguiti nel proprio campo, stanchi del logorio e dei ritmi forsennati a cui la loro professione li sottopone, decidono di intraprendere una svolta radicale e dedicarsi a quella che per generazioni era stata l’occupazione della famiglia di Alessandro, ovvero la coltivazione della vite e dell’olivo. Da ingegneri quali sono non si improvvisano però agricoltori da un giorno all’altro, ma studiano il settore, in particolar modo quello vinicolo, visitando negli anni successivi le migliori zone viticole di Piemonte e Francia, facendo la conoscenza di alcuni produttori e confrontandosi con essi.
Sono i primi passi di un percorso che li porterà a creare la Quei 2 Società Agricola, in località Ginestra Fiorentina, ma soprattutto ad abbracciare e fare propri uno stile e una filosofia di vita e di lavoro completamente diversi da quelli a cui erano abituati. Capiscono che lavorare con la natura significa assimilarne i tempi e le leggi, rispettarne gli equilibri, interagire con un ecosistema dinamico e spesso fragile. Affrontano questo nuovo capitolo della loro vita con l’entusiasmo del neofita e la mente analitica dell’ingegnere che permette loro di porsi di fronte a tradizioni e consuetudini ormai assodate con occhio critico e scavalcarle o stravolgerle quando si dimostrano inadeguate.
La loro avventura di viticoltori inizia dall’ampliamento della piccola azienda di famiglia, integrando le proprietà esistenti con nuove superfici e, soprattutto, recuperando i vecchi vigneti impiantati 50-60 anni prima sul colle di Botinaccio, nel comune di Montespertoli, e ormai da tempo in stato di abbandono. Qui lo spettacolo che si trovano di fronte è scoraggiante, ma Alessandro e Martina intuiscono il potenziale di quelle vecchie vigne e decidono di strapparle ai rovi e risistemarle, nonostante l’impresa sia titanica.
La tenuta dispone oggi di 7 ettari di vigneto, curati in prima persona da Alessandro e Martina, i quali praticano un’agricoltura sostenibile, con trattamenti effettuati in base alle condizioni meteo e una gestione scrupolosa di suolo e vegetazione. Si avvalgono per le varie operazioni anche di macchinari di loro realizzazione, progettati allo scopo di ottenere una migliore efficienza lavorativa e allo stesso tempo ridurre l’impatto ambientale e sul terreno.
Le condizioni pedoclimatiche sono ideali per la viticoltura. Il versante ovest di Botinaccio, dove si trova la maggior parte dei vigneti di Quei 2, offre infatti un’esposizione ottimale ai raggi solari, mantiene le viti al riparo dai freddi venti di tramontana e allo stesso tempo le espone alle benefiche brezze provenienti dal mare. I suoli sciolti poi, ricchi di quarzi e pietre silicee, permettono alle radici di scendere in profondità dove, anche nelle annate più siccitose, vi è disponibilità di acqua e microelementi, fondamentali per l’equilibrio della pianta e la corretta maturazione dell’uva.
Le varietà impiantate sono principalmente quelle autoctone, come Trebbiano, Malvasia Bianca, Sangiovese, Canaiolo Nero e, unico strappo alla regola, il Merlot, con i quali dal 2016, anno della prima vendemmia, vengono prodotte 4 etichette: Rex Rubrum, Chianti DOCG; 208, rosso IGT di respiro più internazionale; un rosato a base di Merlot e Canaiolo e Le Casine, bianco IGT da Trebbiano e Malvasia. E’ proprio su quest’ultimo che vorrei soffermarmi in questo articolo. Se tutti e quattro i vini sono infatti espressione della filosofia produttiva dei coniugi Faggioli, Le Casine ne è senza dubbio il manifesto.
Il Trebbiano Toscano, che fa la parte del leone nell’uvaggio de Le Casine, uva bianca in terra di rossi, vigorosa e resistente a intemperie e malattie, è da sempre considerata una varietà mediocre e priva di personalità, diffusa solo perché molto produttiva. Alessandro e Martina, abituati per deformazione professionale a ricercare le cause dei problemi e risolverli, ne studiano invece le caratteristiche, sia analitiche che organolettiche, e impostano la gestione della vigna e la vinificazione in modo da esaltare quelle qualità di cui il Trebbiano è dotato, ma che pochi, in passato e ancora oggi, riescono a notare. Sfruttando l’età avanzata delle viti e impostando una potatura contenitiva, viene innanzitutto abbassata la resa della vigna, favorendo una maturazione ottimale e più bilanciata delle uve.
Queste poi, raccolte manualmente, vengono diraspate ma non pigiate, e gli acini interi sottoposti a macerazione a freddo per 8-12 ore. Le basse temperature a cui è soggetta l’uva in questo lasso di tempo favoriscono l’estrazione delle componenti aromatiche primarie presenti nella parte interna della buccia, che si tradurranno nel vino in profumi fruttati, intensi e definiti. Il mosto fiore, ovvero quello ottenuto dalla prima pressatura, dalle caratteristiche qualitative migliori, va incontro ad una lenta fermentazione, a temperatura controllata, ed in seguito il vino ottenuto affina prima sulle proprie fecce fini per circa 40 giorni, in un processo che ne arrotonda e ammorbidisce la struttura e ne arricchisce la complessità aromatica, successivamente in recipienti di legno neutro, non tostati, per un mese, ed infine, in seguito al blend finale al quale contribuisce anche una piccola percentuale di Malvasia che dona finezza ed eleganza, in bottiglia, dove riposa per un anno prima di essere immesso sul mercato.
Assaggio insieme ad Alessandro e Martina il 2017, annata calda e secca. Mi aspetto, a causa di questo, profumi maturi, dotati di poca finezza, ed invece il liquido dorato che rotea nel bicchiere sprigiona un bouquet fresco, intenso, minerale (ecco l’importanza delle radici che si spingono in profondità!), che col trascorrere dei minuti evolve ed acquista complessità, in un susseguirsi di note floreali di acacia e caprifoglio, e fruttate di pesca noce, melone, banana, scorza di limone. In sottofondo fanno la loro comparsa profumi terziari di nocciola e miele, senza però essere preponderanti sul carattere fresco e minerale del vino. In bocca si conferma all’altezza di quelle che ormai, dopo un impatto così sorprendente al naso, sono le mie aspettative. Il sorso è pieno, rotondo, alleggerito e bilanciato da una spiccata sapidità e da un’acidità ancora vivace, nonostante l’annata e la lunga maturazione in bottiglia. Finale molto lungo e intenso, in cui risaltano aromi agrumati che lasciano in bocca una sensazione di pulizia e freschezza.
Non è decisamente il classico Trebbiano, e nemmeno il classico bianco leggero da aperitivo estivo, questo no… però è un vino ottimo, un vino adatto a tutti i palati, un vino di cui ci si versa volentieri un altro bicchiere, un vino di cui ci si ricorda e di cui si parla, un vino che si consiglia, un vino che lascia scorgere tra i suoi riflessi dorati il carattere e la storia di Alessandro e Martina, ma soprattutto è un vino per chi, quando stappa una bottiglia, cerca ancora la sorpresa.
Matteo Corsini