Teatri vittime del Coronavirus, muore il Décircus di Livorno
In via dell'Angiolo 19 si spengono definitivamente le luci del Décircus.
Ci siamo innamorati sin da subito di questo progetto che nasceva dalla volontà di rilanciare a Livorno un'idea culturale che partisse dal un teatro di ricerca e fosse volto alla partecipazione popolare. A ciò si è accompagnato, data la natura del luogo, uno studio sul cinema che ne spiegasse le radici riproponendo film in pellicola. Tutto in un ambiente dove bere un caffè, consumare un cocktail di qualità o un vino prodotto in modo ecosostenibile era piacevole trait d'union per condividere il nostro discorso culturale.
Avevamo così concepito il CineCaffèTeatroDelPorto Décircus di Livorno mantenendo un'idea di spazio d'insieme senza preconcetti o installazioni permanenti, che potesse essere mutato e diversificato a seconda delle proposte grazie ad un palco scomponibile e rimodulabile.
Con la chiusura del Décircus resta senza casa la Compagnia Ribolle che, con i suoi spettacoli (22 repliche in 5 mesi) e il laboratorio Bolle & Clown, ha consacrato questo spazio a luogo di incontro e ricreazione divertente e brillante per bambini e famiglie, proprio nella città che l'ha vista nascere undici anni fa. Stessa sorte è toccata al Laboratorio Permanente del Teatro dell'Assedio, laboratorio teatrale che dava la possibilità di gratuità e di adesione ai cittadini di Livorno ponendosi nell'ottica di un teatro non selettivo ma partecipato e attivo. Termina il Cineclub del Lunedì, che tra tagli, montaggi e riavvolgimenti del nastro direttamente in sala e dal vivo perpetuava e valorizzava la vocazione storica dell'ex-Arlecchino. Si conclude l'opera che ha visto il Décircus promotore di realtà culturali e catalizzatore di processi creativi. Nei cinque mesi di attività, dall'inaugurazione il 5 ottobre 2019 all'inizio del lockdown, il Décircus infatti:
- ha condiviso gratuitamente lo spazio con il Coro Garibaldi d'Assalto di Pardo Fornaciari, esperienza che ha arricchito per motivi artistici e generazionali tanto il Coro quanto le realtà residenti;
- ha ospitato Il Ballo Meridiano, corso stabile di danze tradizionali del centro-sud Italia condotto da Maria Piscopo;
- ha organizzato Musica in Divenire, workshop a cura di Roberto Bellatalla ed Emanuele Parrini;
- è stato luogo di confronto e di pensiero sia per artisti locali che per artisti pluripremiati o già consacrati sui palchi nazionali e internazionali. Alessio Lega, Guido Baldoni, Rocco Marchi, Lorenzo Niccolini, Davide Giromini, Pardo Fornaciari, Dome la Muerte, Sandrò Joyeux, Aldo Galeazzi, Roberto Bellatalla, Emanuele Parrini, Marco Fagioli, Gabriella Rago, Steve Lunardi, Aurora Loffredo, la compagnia ScenicaFrammenti, Iacopo Crudeli, David Brogi, Gian Luca Palazzolo, B-Folks, Plateìa, Enrico Vitiello, Fabio Buonocore, IDA, Felicienne, Bhakti, RAGAZZI, Kenji hanno frequentato il luogo e contribuito a renderlo una fucina di espressioni artistiche, cogliendo a loro volta occasione per lo sviluppo di una nuova estetica;
- è stato centro di produzione artistica in cui sono stati ideati e realizzati l'opera di teatro-canzone La Zattera, lo spettacolo Ci vuole un fiore che mescola la magia delle bolle di sapone alle poesie musicate del poeta Gianni Rodari e Skabarett, format inedito che, nelle diverse edizioni, combinava le performances di artisti professionisti e laboratoriandi, con una partecipazione di pubblico veramente entusiasmante. Questa esperienza rinnovava il paradigma del teatro professionale e attuava una concezione di laboratorio teatrale che irrompe sulle scene non come un saggio o come una consolatoria rappresentazione di fine corso, ma come un vero e proprio work in progress dove tutti gli artisti si sentivano coinvolti e partecipi dell’evento innovativo.
L'interruzione forzata per il contenimento del coronavirus ci ha impedito di proseguire l'esperimento dello Skabarett e di realizzare un’importante rassegna che oltre ai già citati avrebbe visto in scena Andrea Nannetti, Alessandro Garzella, Marco Rovelli, le De Soda Sisters, così come la proiezione di documentari derivanti dalla sfera del giornalismo freelance. E, nota ancora più dolente, ha interrotto tutta una serie di appuntamenti in collaborazione con le realtà sociali che animano la città e sostengono quella fetta di popolazione che vuole migliorarla. Sensibili a istanze di rivendicazione in termini sociali, ecologici e di diritti civili, nonché al tema della memoria di eventi storici che hanno colpito Livorno, senza sostegni economici ci apprestavamo a prodigarci per la buona riuscita del Pride, previsto a giugno, per l'imprescindibile giornata dedicata alle vittime del Moby Prince e per ospitare il comitato "Livorno Rifiuti Zero".
A una sospensione delle attività, purtroppo, non è seguita una sospensione delle spese, né è stato possibile adottare misure di sicurezza che ci permettessero di portare avanti le attività previste perché onerose e insostenibili per chi, come noi, fonda la propria esistenza e sussistenza sulla sola vendita di biglietti. Senza alcun finanziamento economico, nemmeno come misura di sussidio emergenziale, qualunque spazio piccolo come il nostro non avrebbe potuto che chiudere.
Abbiamo provato a resistere collaborando con altre realtà associative della città alla stesura di una proposta collettiva a sostegno delle attività culturali, ma abbiamo scelto di non apporre firma al documento finale a causa di un approccio, a nostro avviso, incongruo e troppo morbido, se non completamente sbagliato nel modo di intendere il rapporto di aiuto concreto tra le amministrazioni e le realtà culturali della città. È stato spiacevole non ricevere alcun invito a partecipare ai tavoli nei quali si è discusso di ripartenza, tavoli che avrebbero dovuto coinvolgere tutti e ai quali tutti avrebbero dovuto essere convocati allo stesso livello. Tuttavia la nostra esclusione non ci sorprende troppo: il coronavirus ha semplicemente messo a nudo il vecchio tipo di relazione che c'è ancora tra teatro e politica, in cui si cela il meccanismo clientelare per cui sono i teatri a dover chiedere alle istituzioni, in questo caso all'assessorato alla cultura, e non queste ultime ad occuparsi dei teatri a salvaguardia del lavoro culturale e sociale che promuovono sul territorio.
E qui è necessario ricapitolare il nostro percorso di interlocuzione con l'assessorato alla cultura del comune di Livorno, regolarmente aggiornato sul nostro operato. Già prima dell'apertura, durante incontri formali avvenuti nel suo ufficio, l'assessore alla cultura sembrava rallegrarsi del progetto Décircus, chiedendo una proposta scritta che le istituzioni avrebbero inteso sostenere. Ma la sensibilità, l'interesse e le promesse di sostegno iniziali sono state disattese. L'assessore non ha mai presenziato a nessuno degli eventi realizzati, né il suo assessorato ha dato risposta alcuna alle iniziative ideate e proposte formalmente al Comune. Una politica di assenza e silenzio non si confà all'attività di servizio a cui le istituzioni dovrebbero ottemperare per sostenere chi si impegna in ambito culturale e sociale.
Siamo così giunti alla decisione irrevocabile di chiudere un luogo che è costato tempo, denaro e prospettive, la cui esistenza è stata ricostruita completamente anche in termini amministrativi (e abbiamo atteso fino a metà gennaio che ci fosse accordata l’agibilità di pubblico spettacolo) visto che lo spazio era stato declassato a fondo commerciale appetibile alle operazioni di speculazione edilizia della città. Uno spazio storico, fondato dalla famiglia Gragnani, che dovrebbe essere fiore all'occhiello di Livorno essendo uno dei primi cinema al mondo costruiti con tale finalità.
Così, pur rimanendo presenti laddove qualcuno ci chiami, lasciamo questo impegno, che non è di impresa ma di necessità culturale, a chi lo vorrà raccogliere.
Ci fa piacere ringraziare tutti gli spettatori, soprattutto i bambini, che sono stati partecipi e unici finanziatori del nostro progetto.
Fonte: Ufficio Stampa