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Dopo 4 mesi l’incontro con la famiglia: il viaggio della speranza

Prima visita di due ore nella comunità dove si trova la figlia dopo ben 4 mesi di attesa

In seguito alla forte azione di protesta di sabato scorso dei genitori, che si sono presentati davanti alla struttura sostenuti dall’avvocato della difesa e dai volontari del CCDU, la Comunità Terapeutica ha consentito l’incontro con la mamma e la sorella minore. La famiglia aveva deciso di presentarsi davanti alla struttura, dopo le suppliche della ragazzina che chiedeva piangendo di poter tornare a casa.

Sebbene la Regione Toscana avesse mandato alle strutture affidatarie le linee guida per il ripristino, a partire dal 15 di giugno, a quattro mesi dall’ultima visita, non c’era ancora un calendario per la ripresa delle visite che dovrebbero essere garantite dai Servizi Sociali e dalla Comunità Terapeutica per disposizione del Decreto del Tribunale. Finalmente è stata consentita la prima visita.

Le regole regionali per le visite dei familiari stretti sono molto rigorose: devono avere una durata breve, di circa due ore, devono svolgersi all’aperto, tutti muniti di mascherine, tuta monouso protettiva e con il divieto di abbracci e di incontri ravvicinati. La mamma ha dichiarato: “Io sono felice che ho potuto vedere mia figlia ma dopo 4 mesi non mi hanno permesso di mangiare nemmeno un panino con lei e nemmeno di abbracciarla, basta, veramente basta, vogliamo che torni a casa e anche lei lo desidera, piange e vuole tornare a casa sua, con la sua famiglia.”

Ecco, brevemente la sua triste storia che l’ha portata a passare gli ultimi 4 anni strappata alla sua famiglia. La prima diagnosi psichiatrica per la bambina viene menzionata nell’Ordinanza del 4 ottobre 2016 come “disturbo del linguaggio in bambina con ritardo cognitivo lieve e tratti di sregolazione emotivo – comportamentale”. Al tempo era seguita dall’Unità Funzionale Salute Mentale Infanzia e Adolescenza (UFSMIA) e seguita da tempo anche dai Servizi Sociali. Dalla relazione dell’educatrice riportata nel Decreto del Tribunale dei Minorenni del 21 marzo 2017 emerge “una forte simbiosi con la madre” cosa considerata da loro “la cosa più preoccupante... che rende necessario l’inserimento in una comunità terapeutica” con la nuova diagnosi di “insufficienza mentale medio grave e problemi comportamentali dovuti all’ambiente.”

La soluzione trovata dalla UFSMIA e dai Servizi Sociali è stata quella di internare la bambina di 10 anni in una Comunità Terapeutica per ragazzi autistici con disturbi molto gravi, strappandola dalla madre, dal padre e dagli altri 3 fratelli.

Solitamente le rette per le comunità specializzate vanno da 200,00 a 400,00 euro al giorno. Secondo una stima indicativa, quindi, quattro anni in comunità potrebbero essere costati al contribuente, cioè a noi, da circa 280.000 euro a circa 580.000 euro, a seconda delle rette applicate.

Alcuni giorni fa, la vicenda di questa ragazzina era stata portata anche all’attenzione dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, che aveva recepito e protocollato l’istanza di segnalazione concernente fatti riguardanti vari abusi, perpetrati ai danni della minore e della famiglia, contrari ai più elementari diritti umani. All’Autorità Garante la famiglia aveva anche richiesto, tramite l’avvocato di fiducia, di valutare se fosse legittima o opportuna la prosecuzione dell’affidamento sine die della minore, o se fosse invece auspicabile procedere al reinserimento presso la propria famiglia, consentendo comunque sin da ora le visite della minore a casa sua.

Nonostante gli appelli della bambina di tornare in famiglia e le dichiarazioni della direttrice della struttura sull’esito positivo del percorso che consentirebbe secondo lei, il ritorno con successo alla vita nella società, nessuna indicazione è stata data per ora, per quanto riguarda il rientro a casa della minore.

Fonte: Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani

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