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Cosa dicono "loro" della "Partita del secolo"
Per raccontare la "Partita del secolo" dal punto di vista tedesco (a proposito, si dice Jahrhundertspiel), occorre prima di tutto prendere coscienza del fatto che in Germania si scrive 3-4, "tre-a-quattro" e non "quattro-a-tre", il che è già uno shock. La sequenza suona diversa, non fluisce via libera e veloce, non si fonde - come in italiano - in una linea fonetica di fatto priva di pause, ma piuttosto inciampa in un imprevisto scalino. Dopo cinquant'anni di articoli, saggi, libri, pièce teatrali e pellicole cinematografiche, una banale inversione nella declamazione del punteggio già rende il mito quasi estraneo alle nostre orecchie.
Quanto al contenuto sportivo, la Germania Ovest (esistevano ancora due "Germanie", come lascito della Seconda guerra mondiale) giunse alla semifinale della Rimet messicana dopo un'insperato successo contro i campioni in carica dell'Inghilterra, che aveva conquistato il titolo proprio a spese dei "bianchi" già allenati da Helmut Schön nell'edizione casalinga del 1966. L'uscita di scena degli inglesi fu una sorpresa, per una serie di motivi. Nei confronti diretti fra le due nazionali, i maestri d'Albione vantavano ancora una tradizione largamente favorevole e un conseguente superiority complex. Dopo ben 7 sconfitte consecutive, solo nel 1968, in occasione di un'amichevole disputata ad Hannover, la Germania aveva registrato la prima vittoria sui cugini d'Oltremanica con un risicato 1-0. L'inerzia era ancora tutta dalla parte britannica, anche alla luce dei precedenti Europei del 1968, quelli vinti dagli Azzurri nella doppia finale di Roma contro la Jugoslavia: nella rassegna continentale, l'Inghilterra aveva perso solo in semifinale, mentre la Germania dei giovani Franz Beckenbauer e Gerd Müller non aveva superato l'ostacolo delle qualificazioni, a causa di un deludente pareggio esterno con la debolissima Albania. Inoltre, l'Inghilterra era uscita assai galvanizzata dal girone eliminatorio messicano, superando Cecoslovacchia e Romania, e arrendendosi solo al sommo Brasile di Pelé dopo un confronto equilibrato e spettacolare, suggellato dal celebre scambio di magliette fra O'Rey e il capitano Bobby Moore, che parve quasi un arrivederci in vista della finale. Infine, il quarto di finale di León si era messo in discesa per i detentori del trofeo, che ancora alla metà del secondo tempo conducevano per 2-0. Fu allora che Beckenbauer dimezzò lo svantaggio con una conclusione dal limite, non senza l'involontaria collaborazione del portiere Peter Bonetti, le cui incertezze non furono estranee al pieno ribaltamento del punteggio, ottenuto prima con rete di Uwe Seeler e poi, nel proseguimento, del cannoniere Müller.
Alla vigilia della semifinale con l'Italia, che invece aveva disinvoltamente estromesso i padroni di casa con un eloquente 4-1, i tedeschi erano consapevoli di essere affaticati, ma tuttavia galvanizzati dall'aver mandato a casa i campioni del mondo e - si sarebbe saputo poi - dall'aver posto le basi per l'odierna netta supremazia nei confronti diretti con i fondatori del gioco, che prese forma proprio a partire dall'inizio degli anni '70. Quando Italia e Germania Ovest scesero sul terreno di gioco dello stadio Azteca, il 17 giugno 1970, si preannunciava un incontro equilibrato. La veloce rete di Roberto Boninsegna e la successiva impostazione difensiva italiana, con il progressivamente sempre più arrembante assalto tedesco, confermarono le previsioni della vigilia, ed è qui che, comprensibilmente, il racconto diverge.
Nel suo "Tor! The Story of German Football" (WSC Books Limited, 2013), lo storico Ulrich Hesse sciorina tutta l'indignazione dei connazionali per l'insistita condotta rinunciataria degli uomini del ct Ferruccio Valcareggi, più impegnati a perder tempo con insopportabili sceneggiate che a contrastare virilmente la condotta avversaria. Il commentatore radiofonico Kurt Brumme, esasperato dalla sequenza dei presunti infortuni patiti dagli Azzurri, che a suo dire restavano a terra come attori consumati a contorcersi dal dolore, a un certo punto sbottò: «Mio Dio, è calcio questo! È orribile, è disgustoso. Vedo che Burgnich è appena morto, anzi no, eccolo di nuovo in piedi!». Sempre Hesse dette voce a una lamentela condivisa da diversi organi di stampa, secondo cui l'arbitro Arturo Yamasaki sorvolò colpevolmente su almeno tre falli da rigore ai danni della Deutsche Mannschaft, tollerando in genere un gioco eccessivamente falloso da parte dell'Italia, come ben esemplificato dall'eroico sforzo profuso da Beckenbauer, che dovette restare in campo con un braccio legato al collo, dopo che un atterramento gli era costato la lussazione della spalla destra. Tutta la squadra tedesca era condizionata dalla condotta del direttore di gara, tanto che ancora dopo aver conquistato i supplementari un affranto Müller si sfogò con i compagni: «Ci stanno imbrogliando!».
L'ormai insperato pareggio, raggiunto oltre il 90° minuto da Karl-Heinz Schnellinger (la sua sola rete in nazionale!), il terzino che si era spinto nell'area italiana con l'obiettivo di avvicinarsi all'ingresso degli spogliatoi per l'imminente triplice fischio finale, fu salutato da una prevedibile ovazione, quale giusto riconoscimento per gli sforzi indefessi degli indomiti giocatori di Schön, di cui si sottolineavano le ben 30 (inefficaci) conclusioni verso la porta difesa da Enrico Albertosi. Il leggendario telecronista Ernst Huberty, di cui a mezzo secolo di distanza si tramanda lo stile sobrio e reticente, solo a tratti ravvivato da secche e acute osservazioni mirabilmente tempestive, si limitò a ripetere il nome del marcatore, incredulo che fosse stato lui a pareggiare, concludendo con un definitivo: «Di tutti, proprio Schnellinger!». Il difensore era infatti fra i titolari il solo nella condizione di "mercenario", essendo da anni una colonna del Milan di Nereo Rocco e pertanto compagno di club dei rivali di quel giorno Gianni Rivera e Roberto Rosato.
L'epilogo rocambolesco dei supplementari fu generalmente ascritto alla maggiore stanchezza della compagine teutonica, appunto reduce dai supplementari dei quarti di finale, e dall'imprevedibilità di Eupalla, che mise in fila ben cinque segnature in appena diciassette minuti. La ferita cominciò subito a sanguinare, come si incaricò di evidenziare il deputato SPD Hans Hermsdorf, che l'indomani al Bundestag dichiarò: "Il calcio mi ha completamente rovinato!".
Paolo Bruschi