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Cementificio Testi, la Rsu scrive a Buzzi Unicem: "Investire per evitare la chiusura"

“I lavoratori del cementificio di Testi lotteranno per il proprio posto di lavoro in tutte le sedi opportune fino all’ultimo istante, coinvolgendo le parti sociali, il territorio, la Città metropolitana di Firenze, la Regione e, se sarà necessario, anche le istituzioni nazionali”: inizia così la lettera aperta che la Rsu del cementificio di Testi (Greve in Chianti) hanno scritto all’Ad di Buzzi Unicem, nella speranza di far tornare la dirigenza sui propri passi affinché torni a puntare sullo stabilimento. I lavoratori nella lettera mettono in fila i comportamenti dell’azienda stigmatizzandoli: “La Buzzi Unicem il 1° luglio 2019 ha acquisito questo sito produttivo - ed il suo portafoglio clienti - al fine di consolidare la propria leadership sul mercato del cemento in Toscana e secondo noi l’ha gestito in modo profondamente ingiusto. Come se non fosse già chiaro il destino in serbo per i dipendenti, rientrati a lavoro dopo il lockdown, avete trasferito il nostro direttore di fabbrica in un altro stabilimento senza sostituirlo, dirottato in altri siti produttivi due dei nostri clienti più importanti e, dulcis in fundo, anche se i silos del Clinker sono vuoti, non farete comunque ripartire il forno. Sentirsi pure dire che tutto questo serve per mettere in sicurezza la fabbrica e dargli una speranza di ripartenza ad ottobre ‘se il mercato del cemento riparte’, sembra veramente troppo. Ci sentiamo sbeffeggiati dalla superficialità con la quale state determinando il futuro nostro e delle nostre famiglie”. I lavoratori, nella missiva, spiegano che il cementificio di Testi (una settantina di dipendenti, un centinaio con l’indotto) possa ancora avere un futuro industriale: “Siamo convinti che Testi con i giusti investimenti possa dare il proprio contributo; siamo in centro Italia, in una regione dove Buzzi Unicem serve molti cantieri e molti altri partiranno a breve; se ci fosse la volontà di fare lavorare Testi con continuità anche utilizzare combustibili alternativi tornerebbe ad essere un valore aggiunto, oltre che ad una soluzione strategica per questa fabbrica”. La lettera si conclude così, paventando anche i rischi ambientali della situazione: “Il fatto di chiudere definitivamente la fabbrica di Testi significa pugnalare al cuore una comunità che in Buzzi vedeva invece una luce di speranza e la rinascita di una nuova dignità lavorativa ritrovata. Una realtà industriale che crea occupazione per oltre cento persone getta le basi per sostenere il tessuto sociale di una comunità; ci domandiamo cosa accadrà una volta che Buzzi Unicem chiuderà quella struttura, rimarrà lì a decomporsi nei decenni avvenire, inquinando il terreno e le falde acquatiche, come è accaduto per altre realtà simili alle nostre? O sarà completamente bonificata, in modo che la natura del luogo torni a riprendersi quello che un tempo era proprio?”.

I SINDACATI CHIAMANO LE ISTITUZIONI
Il cementificio di Testi ha resistito alla crisi del settore delle costruzioni dal 2008 ad oggi attraverso procedure di licenziamento collettivo, Casse integrazioni e passaggi di proprietà. All’arrivo del Gruppo Buzzi Unicem, i sindacati hanno fatto presente la mancanza di figure nell’organico, i turni di lavoro non sufficientemente coperti, la necessità di manutenzioni straordinarie nei diversi reparti e soprattutto la richiesta di un piano industriale. Su quest’ultimo punto, nell’incontro azienda-sindacati a fine 2019, la proprietà rimandava a luglio 2020 la spiegazione delle prospettive aziendali. Dallo scorso aprile, per l’emergenza Covid, il cementificio di Testi usa gli ammortizzatori sociali. Dall’ 8 giugno nello stabilimento ci sono 35 persone al lavoro, 14 persone in Cassa integrazione e 22 in ferie con la prospettiva che nella prima settimana di luglio non ci saranno più di 27 persone al lavoro, tutto il resto in Cassa integrazione Covid che terminerà il 19 luglio. Rispetto agli altri stabilimenti del Gruppo Buzzi in Italia, quello di Testi subisce la sospensione dal lavoro più massiccia. “Lo scorso 3 giugno - rivelano Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil Firenze - abbiamo avuto un incontro con la società che non ci ha dato certezza di ripresa a pieno regime dell’attività alla fine della Cassa integrazione per Covid, palesando invece una possibile ulteriore Cassa integrazione. Nessuna previsione di investimenti, soprattutto nessun intervento di manutenzione sul forno che ne avrebbe bisogno e che è spento ormai dal 25 marzo”. “E’ tangibile - aggiungono i tre sindacati - la preoccupazione dei lavoratori che presidiano uno stabilimento a forno spento, pur se messo in sicurezza dalla società; che vedono svuotare i silos di Klinker giorno dopo giorno, senza più produrne; che soffrono del mancato interesse da parte della proprietà per gli investimenti necessari a una produzione che garantisca continuità lavorativa; che patiscono per l’assenza di un piano industriale richiesto più volte”. Per queste ragioni, e al fine di trovare un percorso condiviso per la continuità di questo sito produttivo, Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil Firenze hanno chiesto un incontro urgente ai vertici di Regione Toscana, Città Metropolitana fiorentina, Comuni di Greve in Chianti e San Casciano val di Pesa.

Fonte: Cgil Firenze - Ufficio stampa

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