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Flash mob sui social per ricordare i medici caduti durante l'emergenza Coronavirus

Portiamo il lutto e lo esprimiamo nel giorno della festa della Repubblica per i nostri Colleghi deceduti, perché è giusto ricordarli: quando muore uno di noi, nell'esercizio della propria professione, se ne va un figlio di Ippocrate e un servitore dello Stato, al pari di poliziotti, carabinieri, vigili del fuoco, magistrati, giornalisti.

E va ricordato che la maggior parte di noi si è ammalata dovendo comunque soccorrere i pazienti senza lavorare in sicurezza, perché mentre il mondo si interrogava sul COVID-19 i medici di famiglia e i colleghi nei reparti ospedalieri si trovavano già a fronteggiare l'attacco a mani nude. E lavorare in sicurezza vuol dire anche essere sereni delle scelte diagnostiche e terapeutiche operate sulla base di tanti anni di studio che rendono dei ragazzi progressivamente dei medici.

In Italia nel 95% delle cause penali i medici vengono prosciolti, ma sono 300.000 le cause pendenti.

Neanche in epoca Covid lo stato italiano ha pensato di salvaguardarci e farci lavorare più serenamente, nonostante la pressione lavorativa in termini di carico orario e stress psicologico fosse molto alta e benché le richieste arrivassero da più parti, depenalizzando l'atto medico. Tutto ciò lascia l'amaro in bocca come al fanciullo che sentendosi in pericolo guarda il volto del padre cercando un abbraccio e riceve invece uno schiaffo.

Quindi oltre a piantare alberi per le vittime del Covid, ringraziare i nostri pazienti che ci hanno supportato con un sorriso, una telefonata, i vicini di casa che hanno cucinato e cantato e pregato per noi, è DOVEROSO ricordare la morte dei nostri Colleghi, che la mala organizzazione di una sanità scelleratamente impoverita e privata di risorse essenziali e necessarie, ha permesso che avvenisse.

I medici hanno già un giorno sul calendario, il 26 settembre, SS Cosma e Damiano, non serve un altro giorno della memoria, fine a se stesso, ma il 2 Giugno, nel giorno in cui l'Italia si è espressa come una nazione, noi figli di Ippocrate ci stringiamo ai nostri caduti e alle loro famiglie, chiedendo allo stato italiano di riconsiderare la centralità del nostro lavoro.

La Voce del Curante

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