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Coronavirus, la testimonianza della toscana Sheila: “La Spagna si è svegliata tardi”

Continua la lotta al coronavirus, che ormai è rimbalzato da paese a paese costringendo tutti a fare dei conti che segneranno l’epoca. In Europa a oggi, lunedì 6 aprile 2020, la Spagna risulta al primo posto per numero di contagi dopo aver superato l’Italia, e si sta avvicinando a ritmi sostenuti anche nel numero dei decessi. Una storia drammatica, una situazione che sfugge dalle mani nonostante le misure restrittive, l’impegno di chi è al fronte a combattere questa guerra, la dedizione di chi osserva costantemente le regole. Un copione purtroppo già recitato in Italia, che sembra ripetersi a distanza di una manciata di giorni con lo stesso susseguirsi di eventi anche nella vicina Spagna.

La Spagna si è svegliata tardi, nonostante avesse davanti agli occhi uno specchio in cui osservare ciò che stava succedendo e prevenire. Aveva l’Italia su cui far riferimento ma niente, la vita continuava come se nulla fosse”. È la Toscana Sheila Pistolesi, che dopo aver letto gli articoli che gonews.it ha dedicato ai toscani all'estero al tempo del coronavirus, ci ha scritto per raccontare la sua versione dell'emergenza in Spagna.

Sheila ha 33 anni, vive a Vilassar de Mar in provincia di Barcellona con il marito Hernan e il figlio Mathias. Si trasferì giovanissima dopo la laurea in lingue e traduzione, partendo per un’avventura dalla piccola Palaia in cerca di lavoro, nonostante la crisi investisse tutta Europa in quel periodo. È stata dura ma alla fine ce l’ha fatta. Oggi infatti, Sheila ha coronato il suo sogno lavorativo diventando traduttrice e insegnante di italiano per stranieri. In questo periodo di emergenza lavora da casa, facendo lezione online dei propri corsi.

Due giorni prima dell’inizio della quarantena e della chiusura delle scuole è stato festeggiato l’8 marzo con manifestazioni in diverse città. C’erano già alcuni casi, ma per le strade erano presenti migliaia di persone in festa. Il coronavirus era una realtà tramite le informazioni che arrivavano dall’Italia ma qui la vita proseguiva come se nulla fosse, come se agli spagnoli questa emergenza potesse non arrivare”. Sheila ha fatto riferimento più volte, nel suo racconto, al suo Paese di origine e a come la Spagna poteva prendere esempio in tempo: “L’Italia è sempre stata un disastro in tante cose ma è stato il primo paese europeo ad affrontare il coronavirus. Le decisioni sono state prese bene e gli altri Paesi avevano il vantaggio di poter prendere esempio, ma non è successo fino a che la situazione è precipitata”.

Sheila vive in Spagna da oltre 10 anni, ha trovato il lavoro della sua vita, ha formato famiglia lì ma continua ad essere attaccata all’Italia, sentendo sempre dentro di sé la vena del patriottismo. Per questo ci ha parlato anche delle diversità non solo nella gestione dell’emergenza, ma anche della catena di solidarietà che in molti ambiti si è attivata nello stato bianco rosso e verde ma non si è accesa nella sua nuova terra: “In Italia gli insegnanti si sono messi a disposizione e le scuole hanno prontamente attivato le lezioni online, fornendo la formazione necessaria a tutti e il materiale. Qui è passato un mese e ancora mio figlio non frequenta nessuna lezione online e nessuno sa come i bimbi potranno continuare a studiare. Per questo – ha continuato – la prima settimana dalla chiusura delle scuole, noi genitori ci siamo organizzati da soli e abbiamo insegnato ai bambini come collegarsi. Ognuno di noi insegnava qualcosa, io italiano, un’altra mamma ha fatto fare un dolce e così via. Abbiamo agito in maniera volontaria perché i bimbi potessero continuare a vedersi almeno virtualmente, per mantenere il legame”. Sono differenze che Sheila nota, poiché si è tenuta costantemente informata attraverso la famiglia e i media su ciò che succede in Italia. “La Spagna si è dimostrata di essere un paese arretrato. La scuola pubblica non vuole far differenze tra chi possiede il computer e chi no… da noi, ad esempio in Toscana, anche i piccoli comuni si sono attivati e hanno messo a disposizione i mezzi tecnologici per i bambini che ne fossero sprovvisti. E qui, nella grande Barcellona, nessuna iniziativa di questo genere”. “Adesso sembrerebbe che dopo Pasqua, ancora non sappiamo come, inizieranno a seguire i bambini a casa”. Tante sembrerebbero quindi le cose che, nella tragedia di un’emergenza così grande, Sheila osserva dall'Italia e non vede in Spagna: “Ad esempio anche la fabbricazione di mascherine – ha proseguito. In Italia non solo le grandi aziende, ma anche le più piccole hanno riconvertito la produzione per andare incontro alle nuove necessità, in aiuto a medici, infermieri e popolazione. Qua niente, nessuna distribuzione ai cittadini poiché i dispositivi di protezione mancano anche al personale sanitario”. Come racconta Sheila, anche dai telegiornali italiani abbiamo visto le immagini dei medici spagnoli che in corsia si adattano come possono: “Non puoi mandare a lavoro delle persone che non hanno di come proteggersi. Oltre al fatto che gli ospedali sono al collasso, alcuni pazienti sono costretti a stare in terra. Anche i test al momento non ci sono ma dalle ultime notizie dovrebbero arrivare nei prossimi giorni: inizieranno a controllare il personale degli ospedali e poi la popolazione, ma ci vorrà molto tempo”.

La quarantena, al momento, risulta estesa fino al 26 aprile “ma vedremo se non aumentano i casi o se prolungherà lo stato di emergenza”.

Come erano visti gli italiani prima che la Spagna raggiungesse il picco di contagi in Europa?

“Fin dall’inizio noi italiani all’estero eravamo i più informati, poiché sempre in contatto con le famiglie. Abbiamo iniziato ad avvisare amici e conoscenti, avvertendoli di fare attenzione, di organizzarsi e di non ritrovarsi all’ultimo a fare la guerra nei supermercati. Oltre ad essere stati derisi, siamo passati come pazzi, troppo allarmati da un'influenza che uccideva solo gli anziani. È stata una mancanza di rispetto per chi è morto, di tutte le età, e chi lavora in questa guerra. Addirittura so di bambini italiani discriminati a scuola, dove le mamme non volevano che i propri figli entrassero a contatto con loro perché potevano essere contagiosi. Ora – ha continuato Sheila – non c’è più discriminazione ma resta la rabbia. Se avessero ascoltato in tempo oggi forse non saremmo messi così. Era una storia già vista, quella dell’assalto ai supermercati, della caccia alle mascherine e dei gel disinfettanti introvabili”.

So già di molti italiani che sono scappati dalla Spagna – ha proseguito. Le piccole attività sanno già che sarà troppo difficile riaprire dopo questa crisi, come in Italia certo, ma tanto vale per loro tornare a casa dalla propria famiglia. Qui siamo stati abbandonati dal governo e penso che ci sarà un ritorno alle origini. Gli italiani che vivono in Spagna torneranno a casa e in molti si trasferiranno dalla città alla campagna. La quarantena ha mostrato che chi ha un giardino è avvantaggiato rispetto a chi vive in un edificio”.

Che emozioni provi? Hai paura?

“Non ho paura del virus, ho timore della nostra situazione qui. Se dovesse succedere qualcosa a me e mio marito, chi ci pensa a mio figlio? Siamo soli e senza parenti vicini. Ho già letto tante storie di bambini che sono rimasti senza genitori perché entrambi malati e in ospedale, e si trovano adesso affidati agli assistenti sociali. La mia più grande preoccupazione è sapere che non posso contare su altri familiari in una situazione così estrema”.

È quindi la storia di una giovane donna, che ha lasciato da tempo l’Italia ma che le vuole sempre molto bene e va orgogliosa delle sue origini. È un racconto dove emerge rabbia e delusione. Rabbia di non aver compreso o di non aver osservato bene come il coronavirus stesse bombardando il vicino di casa affacciato sul Mediterraneo. Delusione perché quando ti aspetti che dalle esperienze degli altri si possa imparare e ciò non succede, non rimane altro che pensare a tutto quello che poteva essere fatto. Sheila guarda all’Italia come alla sua casa madre, al paese un po’ sgangherato è vero, ma che dove c’è difficoltà si rialza e dove tutti si prendono per mano, arrangiando con ciò che possono qualche soluzione. È infine forse una storia un po’ malinconica, di un affetto per due paesi diversi e che Sheila spera possano rialzarsi il prima possibile.

I dati

Oggi, lunedì 6 aprile 2020, in Spagna sono 135.032 i casi positivi da coronavirus. I casi attivi 81.540 e i decessi 13.055.

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Margherita Cecchin

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