La storia di Luca: "Sono tornato a vivere grazie a chi mi ha donato i polmoni"

Luca Rinaldi

'Forse non salverò il mondo, ma una vita sì'. Fra gli slogan che vengono scelti per la donazione degli organi c'è questo adottato nel 2014 dal Ministero della Salute che rende bene il senso della storia che andiamo a raccontare. Sì perchè, quando passi da uno slogan ad avere davanti una persona a cui la donazione ha davvero salvato la vita, tutto assume una luce diversa e capisci in un attimo che un gesto che ad una persona non costa niente perchè ormai purtroppo è morta vale per un'altra la cosa più grande che abbiamo: la vita. Un grazie a Luca Rinaldi che ha accettato di raccontare la sua storia di trapiantato di polmoni, la storia di un ragazzo di 38 anni che, grazie al gesto di un'altra persona, è nato una seconda volta. La cosa straordinaria è che, contrariamente a quanto accade ad ognuno di noi quando nasciamo, si ricorda benissimo la 'seconda nascita', quel primo respiro con i polmoni finalmente sani e pronti a riempirsi di vita. Fra le tante cose belle di questa storia, anche il gesto della Banca di Cambiano che decise di assumere Luca a tempo indeterminato proprio mentre era ricoverato per combattere una crisi bruttissima.

Luca, da dove iniziamo?
Dalla mia nascita. Ho sofferto di una patologia genetica ai polmoni ma, nonostante questo, sono sempre stato bene. Anche se ero seguito dal Meyer giocavo a calcetto ed allenavo squadre giovanili senza mai accusare problemi.

Poi?
Nel 2017, 2018 c'è stata una frana, un ricovero per una broncopolmonite poi guarita, ma già i medici avevano messo lì la parola trapianto e sapevo che prima o poi sarebbe stato necessario. A fine anno ebbi una brutta crisi respiratoria ed è difficile descrivere cosa si prova a non respirare. Sono stato ricoverato a lungo e sono uscito con l'ossigeno 24 ore e l'inserimento in lista trapianto.

Che vita facevi?
Ho continuato a fare la mia vita di sempre, non mi sono mai privato di niente anche con l'ossigeno fisso ed ho continuato a fare tutto, a parte allenare che non mi era più possibile.

Il lavoro?
Ero alla Banca di Cambiano e mi scadeva il contratto proprio mentre ero in ospedale in condizioni difficili, nel momento più brutto. La Banca decise di rinnovarmelo a tempo indeterminato, un gesto bellissimo fatto mentre ero ricoverato a Careggi.

Quanto hai dovuto attendere?
Nella sfortuna sono stato fortunato, appena 5 mesi perché il 9 giugno del 2019 mi hanno operato a Siena.

Come si vive nell'attesa?
I primi giorni si sta sempre a guardare il telefono perché la chiamata può arrivare in ogni momento. Il 118 ha tutta la documentazione in mano e, quando arriva la chiamata, fa partire l'ambulanza che, nel mio caso, fu la Misericordia di San Miniato. Poi la chiamata arriva quando meno te lo aspetti e quindi, col tempo, smetti anche di farci un pensiero fisso

Poi sul display appare il numero di Careggi
Una domenica ero a sistemare la mia nuova casa dove salire pochi scalini era per me come scalare l'Everest. Verso le otto stavo per mettermi a cena dai miei genitori e squilla il telefono col numero di Careggi.

Era la telefonata tanto attesa?
Sì, la dottoressa iniziò a farmi delle domande e capii subito. Mi disse, ci sono i polmoni e, dopo quella frase, non ci ho capito più niente, nemmeno cosa mi dicesse. Entro tre ore dovevo raggiungere Siena, chiamai il 118, presi la valigia pronta da gennaio e partii, ben sapendo che l'ultima parola sarebbe stata del chirurgo. E' lui che decide se l'intervento si fa o no.

Quando entrasti in sala?
Verso le 22 ero a Siena in reparto di chirurgia toracica e passai una notte che non finiva mai. Entrai in sala la mattina alle 7.30 ed uscii la sera verso le 17.30 quando passai in terapia intensiva. Ore lunghissime per la mia famiglia ma che per me furono come un attimo.

Ricordi il risveglio?
Sì, mi pareva fosse passato un secondo ma così non era. Avevo l'ossigeno ma, nonostante i drenaggi che avevo, già col primo respiro capii che era tutta un'altra cosa, una nuova vita. E ogni volta che spariva un drenaggio stavo sempre meglio. Mi chiesi: ma siamo sicuri che l'aria entra tutta?

Cosa ti hanno detto dell'intervento?
Ho saputo che non ho avuto bisogno di niente, nel senso che ho respirato col polmone sinistro mentre mi trapiantavano il destro e viceversa, non c'è stato bisogno di essere attaccato a macchinari esterni.

Hai mai saputo di chi sono i polmoni?
No, la curiosità c'è come è normale che sia. I medici non possono dirti niente poi, magari, se dall'altra parte ci sono delle ricerche potrà succedere che sapremo tutto, ma ad oggi non lo so. Di solito sono persone morte per malattia e non per trauma che danneggia la cassa toracica e quindi i polmoni, ma sono solo ipotesi.

Al suo gesto hai pensato?
Sì, ed è difficile dire cosa penso perché è un gesto che salva una vita, io ne sono la prova.

Ora come è la tua vita?
C'è ancora qualcosina da sistemare e vado a Siena spesso, ma sono tornato al lavoro e piano piano riprendo la mia vita. Sta procedendo tutto secondo i piani.

La tua famiglia?
Sapevamo che andava fatta, ma è stata una prova per tutti. Io ero preoccupato sapendo che i miei avrebbero saputo tutto solo dopo le dieci ore di intervento e che per loro sarebbe stata dura attendere fuori senza avere notizie. La decisione, invece, l'ho presa da solo senza sentire nessuno.

Il ritorno a casa come è stato?
Il primo anno è stata dura perché c'è da stare attenti a tante cose ed i problemi ci sono tanto che sono anche dovuto tornare ricoverato in corsia, tutte cose che i medici mi avevano già detto. Ho vissuto nei primi tre mesi in una specie di campana di vetro, mangiavo a tavola separato e non vedevo quasi nessuno, poi col tempo le restrizioni diminuscono sempre più. Ora ne restano poche.

Come ti sei trovato in ospedale?
Benissimo ovunque, dal Meyer che mi segue da una vita a Empoli a Careggi a Siena ho sempre trovato persone fantastiche.

Il calcio ti manca?
Sì, i ragazzi che avevo ad Avane mi sono stati vicino e, appena mi daranno il via, tornerò in panchina. Mi hanno detto anche che potrò tornare a giocare come facevo prima.

E nei giorni scorsi, con un post sul suo profilo Facebook, la foto di un pallone con scritto: "Proviamo a vedere se ancora so palleggiare, riprendiamo confidenza, a piccole dosi, con questo strano oggetto che non sfioro da diversi mesi". Un altro passo verso la normalità.

Quando si muore gli organi non servono più, donarli significa regalare la vita. A Luca ed ai tanti Luca che aspettano di tornare a vivere ed a rincorrere il loro pallone.

Marco Mainardi

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