Sona sona campanina: il Palio di Siena è un'emozione privata
Una campana che suona continuamente può essere un sollievo per il sonno. Stanotte di sicuro lo sarà per la Giraffa, la contrada di Siena che ha vinto il suo trentaseiesimo drappellone e lo ha fatto nella maniera che i contradaioli sognavano e speravano, ma che non avrebbero mai immaginato. Giovanni Atzeni è tornato a trionfare al Palio di Siena quattro anni dopo l'ultima vittoria: Tittia su Tale e Quale ha superato Jonatan Bartoletti su Violenta da Clodia a un metro dal traguardo. E pensare che Scompiglio era il gran favorito e che in piazza del Campo tutti parlavano della Chiocciola come vincitrice designata.
Bartoletti ha corso saggiamente, anche se c'è chi lo critica per come ha allargato la curva del Casato nell'ultimo giro: il suo cavallo, tra i migliori del lotto alla tratta, ha perso progressivamente potenza e forse il fantino pistoiese non poteva fare più di così. Atzeni invece ha condotto una carriera intelligente, tallonando Bartoletti fin dalla mossa e sfruttandone i (pochi) difetti. Al fotofinish ha vinto lui, la campanina suona per la Giraffa.
È stato un Palio bello? Probabilmente sì, sebbene l'aggettivo più calzante sia 'emozionante'. La cornice di pubblico, sotto il sole più caldo dei Palii recenti, è stata importante, anche se in piazza qualche vuoto si è notato. Il pubblico ha sospinto i cavalli e non sono mancati momenti quasi cinematografici.
Su tutti, la mossa: i duelli tra rivali posizionate vicine dal sorteggio, reso noto dallo sbrigativo mossiere Bartolo Ambrosione, hanno reso più pepata la partenza. Aquila e Pantera erano vicine, così come Onda e Torre (quest'ultima rimasta tra i canapi alla partenza). A farne le spese, per puro caso, è stato Scompiglio: il cavallo di Bruschelli (Pantera) ha scalciato e lo ha colpito alla gamba destra, particolare da non sottovalutare nel computo finale.
Poi però ci sarebbe da parlare del contorno, sia per la mossa che per il resto. Perché vedere i fantini confabulare a distanza più o meno ravvicinata fa parte del linguaggio del Palio di Siena, così come l'immancabile zuffa tra i canapi. Un linguaggio che per forza di cose è incomprensibile a chi è nuovo a questa realtà, probabilmente la più bella tradizione d'Italia o del mondo.
E se fosse il Palio a voler essere incomprensibile? La sensazione, a volte, è proprio quella. I senesi vogliono il Palio tutto per loro e vanno capiti. L'appropriazione culturale è iniziata tanti anni fa e i senesi sono gelosi della propria tradizione: se il contradaiolo cambia aspetto e modo di camminare nei giorni prima del Palio, è perché al contempo cambia anche il suo modo di vivere. I settantacinque secondi in piazza del Campo sono il coronamento di un anno di tensione, mista a gioia e passione. Etimologicamente passione viene da patire e il Palio ne è la prova più sibillina. Questo patimento è un'emozione privata, quindi bisogna dar ragione ai senesi quando storcono il naso di fronte a un semplice turista o un ficcanaso.
Al contempo, viene da pensare che siamo nel 2019, basta una ripresa da un cellulare e un fantino tosco-sardo diventa famoso in Oklahoma o in Azerbaigian. Quanto è pronto il Palio a essere al passo coi tempi? I senesi sono dibattuti su questo tema, ma la risposta va data in relazione alla chiusura (o è meglio dire recalcitranza?) di tutta la città: il sindaco Luigi De Mossi dice che è "la festa di un popolo", uno popolo che dal XVII non sembra avere bisogno di rendere il Palio comprensibile ai non-senesi. In definitiva è giusto così, il forestiero può avvicinarcisi senza mai raggiungerlo, come un novello Achille con la tartaruga. La bellezza di Siena e del suo Palio sta proprio in questo.
Gianmarco Lotti