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Castelfranco remota: uno spaccato degli inizi del Novecento

(Riportiamo un estratto del libro di Daniele Casini 'Le lastre della memoria - Storia e costume dei castelfranchesi attraverso le immagini', edito nel 1988. Casini è scomparso nell'agosto del 2004, quello che leggete vuole essere un omaggio per i 15 anni da parte dell'autore del blog Valerio Vallini, riportando questo scorcio di Castelfranco che fu. La 'fedele citazione' è stata riportata per non tradire la bellissima prosa di Casini nel descrivere uno spaccato della cittadina del comprensorio degli inizi del Novecento).

Il centro storico, appena sveglio, aveva il suo cuore nella piazza del mercato lastricata e racchiusa tra la chiesa e il municipio. Le botteghe aprivano i loro portoni di legno e insegne fin de siècle apparivano nella luce del mattino nitide e ammiccanti. Su sfondo bianco era pitturato in nero: drogheria, fiaschetteria, sale e tabacchi. Tipiche erano le trattorie con le tendine tirate a metà vetro, bianche di lino e increspate, dalle quali si intravedevano nelle luci fioche i marmi delle mescite di vino con sopra i fiaschi impagliati.

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Per ogni classe sociale c'era il proprio locale di ritrovo: il circolo Liberale che aveva una sua biblioteca ed era abbonato dal 1910 alla bella rivista "L'illustrazione Italiana", il circolo ricreativo "l'Armonia" amante dello sport e della musica che chiudeva tutte le cene sociali con il "va pensiero sull'ali dorate", il circolo dei contadini e il cinema muto che fece le sue prime timide proiezioni in via Dante in mezzo a botti di vino per l'entusiasmo delle nuove generazioni.

Forse si preferiva di più la rappresentazione diretta e non riprodotta quale poteva esser una recita teatrale o un concerto bandistico. Per questo Castelfranco aveva il suo piccolo ma accogliente teatro, posto in via Verdi, nella parte a sud del paese. È stata una tradizione e una passione assai sentita quella del teatro, tanto da dedicargli una via che esiste tutt'oggi.

[...] Memorabile la rappresentazione del "Brigante Musolino" quando, per rendere più realistica la scena, gli attori sparavano con dei veri fucili da caccia tra la paura e l'entusiasmo del pubblico.

Col passar del tempo le vie e le strade del centro storico si sono chiamate con nomi diversi. Quando il paese era ancora tutto chiuso dalle sue mura e dalle sue torri, le vie avevano il nome dei santi o di qualche antica famiglia castelfranchese: via di S. Chiara, via di S. Domenico, via dei Novelli. Con l'unità d'Italia le vie sono state intitolate agli uomini del nostro risorgimento e, infine, ai martiri della resistenza.

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Se si vuol capire il paese dal di dentro bisogna passare sotto i chiassi, veri e propri sottopassaggi che collegano il paese da est a ovest; scorciatoie amiche dove il tempo si è fermato sui finestrini chiusi dalle grate, sulle travi di legno consumato e logoro dove nidificavano le rondini fino a quando sono stato ragazzo. Oltrepassando la bianca torre di Porta all'Usciana, subito sulla destra, si entra nel chiasso dove c'è il carbonaio e si percorre tutta la via, costeggiando l'antica casa signorile dei Franciosini, col balconcino a pancia in ferro battuto, e poi giù verso via Roma dove ancora oggi il fabbro batte sull'incudine e forgia gli attrezzi per la campagna da vendere al mercato.

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La vita fuori porta, vicino al verde della "piazza nova" aveva un ritmo tranquillo e ci si fermava volentieri a vedere lavorare questi artigiani. Era sulla strada che s'imparavano le cose e si tramandavano i segreti del mestiere. E l'apprendistato era lungo ma formativo. Si entrava nella bottega di Conforto, dopodiché cominciavano pazientemente ad intrecciare gli altri vimini, uno sopra l'altro, facendo attenzione a non spezzarli. Bisogna dire che sono sempre le donne a fare i lavori peggiori. Eccole lì, appena fatta la casa e sistemato i figli, chine a intrecciar giunchi, i capelli raccolti dietro la nuca, dentro stanzoni umidi con un forte odore palustre e l'acqua tutto il santo giorno sulle mani che faceva venire i dolori. Era questa umidità che ci dava il lavoro e un po' di soldi, ma ci portava i dolori; dolori sulle mani, sulle ossa, dolori dentro.

Parallela alla lavorazione dei vimini c'era quella delle sedie, per la quale i castelfranchesi si sono guadagnati per molto tempo l'appellativo di seggiolai. In bottega veniva tornito il legno con il tornio a pedale, mentre gli incastri si facevano a mano. Per l'impagliatura che si eseguiva anche fuori dell'uscio si usava il sarello o salicchio, un tipo di paglia dura e resistente che nasce in palude. Di qui la nostra economia, il nostro lavoro e la nostra cultura prima dell'avvento dell'industria. Tutte queste attività si sono protratte fino agli anni '50; poi l'avvento del calzaturificio ha cominciato a sottrarre manodopera, infine quello della plastica ne ha praticamente segnato la fine.

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