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GoBlog  - Valerio Vallini


Mercatini dell'usato: un viaggio nella nostalgia

Dopo gli anni dell’impegno (anni cinquanta-sessanta) dove se un film non era, oltre che bello problematico (da Sciuscià a Fellini 8 e mezzo, da Blow up alla Cina è vicina, dal Ferroviere a Vaghe stelle dell’Orsa e così via), non ci si “divertiva”; dopo gli anni cupi di piombo, (con i morti ammazzati nelle strade e i deliri criminali delle Brigate Rosse) esplose, negli anni ottanta, l’edonismo “reganiano” dal nome del presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan: meno tasse, più consumi. Si parlò di “riflusso nel privato”. Anche la letteratura ad effetto di massa scoprì il quotidiano. Anche la poesia fu invasa da versi di casalinghe, bancari, operai che scoprivano con un po’ di ritardo il “verso libero” e con esso una capacità di esprimersi altrimenti vietata dalle regole della metrica scolastica.

E il quotidiano degli oggetti d’uso, del costume e di tutto un po’, fu ricercato nella storia come nell’arte dell’inizio del secolo e del secondo dopo guerra. Furono invasi mercatini e mercati. Non solo per il pezzo raro, ma per il camerale della nonna, la rivista sgualcita del Grand Hotel, di Cinema, o le pagine della Domenica del Corriere, e poi cartoline, vecchie foto, reportage sugli anni in camicia nera. Si andava anche per mobili e per ceramiche e per legni di vecchie case coloniche. E poi pizzi e trine e tutto un repertorio di cose: “Le piccole cose di pessimo gusto” di Gozzaniana memoria ma non solo.

C’era il sapore della scoperta per i giovani che volevano mettere casa con orpelli e tavoli di modernariato. Era come un viaggio nel tempo per tutta una generazione di mezzo che aveva usato quotidianamente quell’arte povera, quell’ artigianato da poco prezzo. Magari lo aveva buttato o regalato o svenduto al rigattiere dell’angolo ed ora voleva riappropriarsene, riacquistarlo come ci si potesse riprendere un pezzo di gioventù trascorsa, come si potesse fermare il tempo. E questo gusto e questa voglia ancora oggi continuano. E non è tanto il lucro, la ricerca dell’affare. Certo può esserci anche questo, ma ciò che domina credo sia il fascino delle cose andate: del  loro profumo, dei colori, di una manualità che oggi si è persa. Negli oggetti artigianali, dal mobile ottocento alle piccole chincaglierie quello che conta è sentire la mano dell’uomo: del costruttore. E’ una voglia di antico che riscatta la serialità degli oggetti, la globalizzazione dei marchi, la piattezza della duplicazione firmata. Una evasione da un quotidiano litigioso e ripetitivo.

Valerio Vallini

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