GoBlog - Matteo Corsini
Castello di Oliveto - Leone X 2014: eleganza rinascimentale
A poco più di un km in linea d’aria dalla Statale 429, nel tratto che congiunge Castelfiorentino a Certaldo, ma nascosto alla vista degli automobilisti dal crinale del colle su cui sorge e dal bosco di lecci e cipressi che lo circonda, si erge il Castello di Oliveto, i cui bastioni merlati da 600 anni dominano la Valdelsa.
Costruito agli inizi del ‘400 su progetto di Brunelleschi dalla famiglia fiorentina Pucci come residenza di campagna e rifugio sicuro in un’epoca, quella tardo medievale, piuttosto turbolenta, il castello nel corso dei secoli è stato testimone di eventi chiave nella storia di Toscana e Italia, e ha ospitato tra le sue mura capi di Stato, re e papi.
La tenuta è legata fin dalle sue origini alla produzione di olio (come si intuisce dal nome stesso) e vino, ma è dagli anni ‘80 del secolo scorso che la produzione vinicola assume un carattere di stampo moderno, con la produzione delle prime bottiglie e la creazione di una rete commerciale.
Oggi l’azienda conta 50 ettari di vigneti, impiantati sui terreni più vocati e meglio esposti, la dedizione ai quali, mi spiega il direttore dell’azienda Sandro Bertelli, è il pilastro su cui si fonda la qualità dei vini di Castello di Oliveto. Ogni parcella di vigna è gestita autonomamente a seconda delle caratteristiche di suolo, esposizione e condizioni climatiche stagionali, e il momento della raccolta è deciso assieme all’enologo basandosi sull’evoluzione delle caratteristiche sensoriali delle uve in fase di maturazione. E’ dalle vigne più vecchie, che meglio esprimono la tipicità del territorio, che provengono le uve che vanno a comporre il vino di cui scrivo oggi, il Leone X IGT Toscana.
Dedicato ad uno dei tanti ospiti illustri che hanno soggiornato al Catello di Oliveto, il papa rinascimentale Leone X de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, viene prodotto con la migliore selezione di uve Sangiovese e una piccola parte di Merlot e Cabernet Sauvignon.
Le uve delle tre varietà, scelte e raccolte a mano, avendo tempi di maturazione e caratteristiche diverse, vengono vinificate separatamente, in serbatoi in acciaio a temperatura controllata, nei quali compiono lunghe macerazioni volte ad estrarre dalle bucce colore, polifenoli e componenti aromatiche, e la fermentazione malolattica. A seguito della svinatura, le diverse masse di vino sono sottoposte ad un periodo di affinamento della durata di 18-20 mesi nelle storiche cantine d’invecchiamento del castello, anch’esse risalenti al XV secolo; il Sangiovese in botti in rovere di grande dimensione, come da tradizione, mentre Merlot e Cabernet Sauvignon in barriques, contenitori più piccoli e più adatti per l’élevage di queste varietà. Terminato l’affinamento viene finalmente compiuto l’assemblaggio: il Sangiovese, austero e diretto, addolcito dall’invecchiamento, come i contadini di un tempo, incontra il naturale fascino e la dolcezza di Merlot e Cabernet Sauvignon a cui il riposo in legno ha conferito eleganza e carattere. Peculiarità diverse ma complementari che si allacciano e si armonizzano grazie ad un ulteriore periodo di riposo, stavolta in tini di cemento, in cui il vino raggiunge l’equilibrio ottimale ed è finalmente pronto per la bottiglia.
Il 2014 che ho degustato assieme a Sandro Bertelli e all’enologo Massimo Motroni, è il risultato di un’annata fresca e di non facile gestione, ma l’estrema cura della vigna, le macerazioni calibrate sulle caratteristiche delle bucce, il lungo affinamento e il riposo in cemento e in bottiglia offrono ai sensi un vino che colpisce immediatamente per la finezza e la delicatezza dei profumi. Aromi fruttati e note boisé sono perfettamente integrati; spiccano, ma senza intaccare l’equilibrio del bouquet, profumi di frutti di bosco maturi: fragolina selvatica, lampone, ribes, che lasciano poi spazio a vaniglia, liquirizia, caffè tostato, e lievi fragranze di spezie e erbe aromatiche. In bocca l’acidità ben definita è ammorbidita da tannini fitti e rotondi, quasi setati; presenta una struttura complessa e notevole concentrazione senza però risultare pesante, e sensazioni retro olfattive che richiamano le note già percepite al naso, con una leggera prevalenza degli aromi terziari.
Volendo a tutti i costi categorizzarlo possiamo includerlo tra i Super Tuscan, in quella che era l’accezione originaria della definizione; Leone X, pur con la presenza di Merlot e Cabernet Sauvignon, pur con il parziale utilizzo di barriques, ma anzi, grazie all’uso misurato che di queste viene fatto, mantiene caratteristiche di tipicità e bevibilità con una struttura articolata ma agile, in cui la presenza delle varietà internazionali non mina, non copre l’espressione del terroir e non snatura il Sangiovese, e l’affinamento in legno non genera eccessiva opulenza, bensì, per un gioco di contrasti, fa risaltare le note fruttate, nello stesso modo in cui nella preparazione di una torta un pizzico di sale ne esalta la dolcezza.
Leone X è un vino perfetto per i piatti a base di selvaggina della cucina toscana ma, considerate le origini della tenuta, e la figura storica a cui deve il nome, sarebbe interessante e originale abbinarlo ad una pietanza di derivazione rinascimentale, come ad esempio la lepre in dolce e forte.