Al Teatro il Momento di Empoli va in scena 'Scusate se parlo d’amore' di Manola Nifosì
Il 30 marzo alle 21,30, ancora nel mese della donna, la stagione del Teatro Il Momento di Empoli, presenta SCUSATE SE PARLO D’AMORE, uno spettacolo importante, apprezzato in ogni parte d’Italia, dove una donna parla di se stessa, scusandosi sì, ma solo per ironia, chiedendo scusa per pensare, per aprire bocca, per protestare a volte per quella che resta una condizione della dona che ha ancora bisogno di imporre le proprie ragioni.
Manola Nifosì, quella che è senza dubbio una delle più brave attrici fiorentine, è la pesrona giusta sia per scrivere che per affrontare temi a lei così cari.
La Nifosì viene dalla scuola di Barbara Nativi e del Laboratorio Nove di Sesto Fiorentino. Della Nativi era forse una delle allieve predilette, dà lei ha acquisito una grande capacità attorale, ma anche una vocazione didattica. Come spesso succede – il teatro è anche questo – a un cero punto le due si sono separate, su temi prettamente teatrali.
La Nifosì aveva incontrato le idee di Sergio Aguirre, un’altra personalità storica del teatro toscano. Anche se lega l’Italia alla sua terra d’origine, l’Argentina. Ne è nato, più di trent’anni fa, un sodalizio che è ancora attivo, e che ha creato tantissimi spettacoli, soprattutto manifestazioni importanti, di fama internazionale, come Luglio Bambino, che si svolge nella piana fiorentina, tra Campi Bisenzio e moltissimi Comuni vicini.
Si legge già nel manifesto dello spettacolo: Scusatela se parla d’amore. Se racconta di piccoli grandi amori, che non hanno la pretesa di farsi raccontare e che si consumano sotto i nostri occhi per strada, nei supermercati, nell’appartamento accanto al nostro o in una camera d’ospedale. Scusatela se parla d’amore con
ironia e tenerezza, sarcasmo, nostalgia e stupore. Scusatela se si domanda ancora: “Ma di cosa parliamo quando parliamo d’amore?”
Dice la Nifosì: “Il mio amore per le storie nacque quando ero ancora molto piccola, quando ne sentii raccontare una per la prima volta.
Ascoltavo estatica la voce della nonna che, mentre instancabile lavorava a maglia, non smetteva di creare storie per me che la stavo ad ascoltare. E le sue parole prendevano vita.
Erano storie che raccontavano la ferita delle donne che non smette mai di sanguinare. Storie di donne cresciute in un’epoca in cui la donna era trattata come una bambina e come una proprietà. In cui gli uomini che abusavano dei figli e delle mogli erano semplicemente detti “severi”. In cui la donna era tenuta come un giardino incolto; ma per fortuna qualche seme selvaggio può sempre arrivare portato dal vento.
Io ascoltavo e mi nutrivo di quelle storie, io ascoltavo e sentivo crescere dentro di me quel seme selvaggio portato dal vento.
Perché racconto storie? Perché fanno bene, perché curano la ferita che non smette mai di sanguinare, perché voglio essere vento”.
Ufficio Stampa 333 5925005
Prezzo: 10 euro intero
Fonte: La conchiglia di Santiago