GoBlog - Valerio Vallini
La Città delle Pievi, il distretto industriale tra i Sessanta e i Settanta
La popolazione della • Città delle Pievi • (Santa Croce, Fucecchio, San Miniato, Montopoli, Santa Maria a Monte, Castelfranco), che nel 1961 era di circa 70.000 abitanti, supererà nel 1971 gli 80.000. In questo incremento demografico che da solo può dare la misura di un vorticoso sviluppo, la componente maggiore fu costituita dall’immigrazione dal sud e dalle isole. La dinamica economica subì una notevole accelerazione e la dimensione industriale si affermò nel settore calzaturiero e in misura minore anche in quello conciario. Tuttavia la vita nelle fabbriche non era ancora regolata da precise norme giuridiche e i lavoratori erano soggetti all’arbitrio della volontà imprenditoriale. Inoltre dilagava il lavoro a domicilio e lo sfruttamento minorile.
DAL 1965 AL 1970
Già in quegli anni in cui la crescita economica stava divorando con velocità crescente le risorse del territorio in termini di spazio, di degradazione ambientale, di caos urbanistico, in alcuni ambienti politici e nella coscienza di strati allora esigui di cittadini, cominciò a porsi il problema di uno sviluppo ordinato con possibilità di crescita a dimensione d’uomo. Si attendeva l’avvento delle Regioni come enti capaci di snellire determinati iter burocratici che avrebbero permesso l’applicazione di efficienti piani regolatori. Questa nascente “filosofia della vita” contrapposta alla “filosofia del profitto”, se concedeva molto alle enunciazioni verbali, nella pratica trovava però forti resistenze. Nei sindacati prevalse il timore di mettere in discussione gli alti livelli di occupazione. C’è stata, negli stessi partiti di sinistra al governo degli enti locali, la preoccupazione troppo elettoralistica di perdere i consensi di quella parte dei ceti artigiani e mercantili di provenienza operaia e mezzadrile. Infine è da rilevare una colpevole indifferenza delle popolazioni cui non poteva sfuggire la riduzione a putride cloache di torrenti come l’Egola e come l’Elsa, e la scomparsa di ogni forma di vita dal corso dell’Arno. Il timore di perdere un benessere materiale appena intravisto, fece tacere i più, e vanificò gli sforzi di quei pochi che si preoccupavano di razionalizzare una “Città” impazzita.
Intanto, i calzaturifici e le concerie si moltiplicavano. Nelle stazioni di Fucecchio e San Romano, i treni dal sud riversavano immigrati con valige legate dallo spago provenienti dalle campagne del meridione. Li aspettavano casolari abbandonati, vecchi ruderi nei centri storici, i lavori più pericolosi e disagiati. Le attività terziarie si dilatavano enormemente dal ramo dei trasporti, alle assicurazioni, al credito. Dalle Università di Pisa e di Firenze già nel 1966 si udivano i prodromi del ’68 che scoppierà anche nella nostra città. Studenti e operai si trovarono insieme a rivendicare contro il grigiore del potere “la fantasia al potere”, contro l’istruzione che fu definita classista e selettiva, una cultura diffusa, contro l’arbitrio dei baroni universitari e del padronato più retrivo, le assemblee permanenti e uno statuto dei lavoratori.
Certo non mancarono gli eccessi come il ricorso al voto politico nelle scuole e fenomeni di luddismo nelle fabbriche. Certo è che troppi nodi erano rimasti a lungo irrisolti, certe aspettative troppo spesso vanificate. Nella nostra zona gli scioperi, oltre a richieste di carattere salariale, mirarono soprattutto ad una nuova normativa, alla regolamentazione della palude del lavoro nero e del lavoro minorile, alla richiesta di consumi sociali.
ANNI SETTANTA- [Erano gli anni in cui, nelle città, si aveva paura ad uscire di casa]
DAL 1971 AL 1973
Agli inizi degli anni ’70 la popolazione residente nella Città delle Pievi, addetta all’attività industriale, rappresentava in 65,58% della popolazione attiva. Il 22% era addetta alle attività terziarie, mentre il 21,21% era dedita all’agricoltura in termini statistici. Lo squilibrio del territorio, risulta in modo reale da questi semplici numeri. L’immigrazione che sfiorava un tasso di incremento medio del 17,40% provocava il gonfiamento dei centri residenziali inducendo una richiesta di servizi sociali sempre più ingente. Le contraddizioni dello sviluppo ingigantivano a vista d’occhio. All’ammassamento di fasce di popolazione nei “ghetti ” urbani, faceva riscontro la costruzione di splendide ville e quartieri eleganti i cui proprietari appartenevano in larga misura a quella che viene definita la nuova “borhesia rossa”. Borghesia per i modelli di vita che emula, rossa per la sua collocazione politica. Alla richiesta di un accrescimento dei mezzi per la salute pubblica (salute minacciata dallo scarico dei veleni dei processi produttivi) si sono volute mantenere in piedi vecchie strutture ospedaliere, potenziate nella loro capacità curativa, ma sempre vecchie strutture. E questo in ossequio ad antichi municipalismi e, soprattutto, per motivi clientelari e partitici.
All’oggettiva necessità di nuovi edifici scolastici vicino ai centri produttivi, si è preferito che la “cultura” rimanesse sui poggi, costringendo gli studenti dei centri in pianura a faticose e dispendiose trasferte.
1973-In politica economica internazionale, l’inconvertibilità del dollaro in oro ebbe profonde ripercussioni di carattere speculativo negli ambienti economici della nostra CITTA’. L’anno cruciale fra quelli considerati fu certamente il 1973 con la guerra del Kippur e la conseguente crisi petrolifera. Si parlò allora con più forza di modificare il modello di sviluppo, di uscire dalla spirale del consumismo. II colpo di stato in Cile, convinse E. Berlinguer a perseguire il disegno del Compromesso storico che troverà la massima realizzazione nella formazione di maggioranze di unità nazionale.
Valerio Vallini