L'ex deportato Daniel Vogelmann racconta la sua esperienza a Empoli
La deportazione degli ebrei nei campi di sterminio nazisti è stata al centro dell'incontro che la sezione Empolese Valdelsa dell'Aned ha organizzato nella Sala delle Adunanze della Misericordia di Empoli.
Gradito ospite Daniel Vogelmann, figlio di Schulim, deportato ebreo polacco ad Auschwitz e fortunatamente sopravvissuto all'inferno del campo di sterminio (la moglie e la figlia piccola, purtroppo, morirono), che ha incontrato i ragazzi di tre classi delle scuole medie Busoni nell'ambito di un progetto che coinvolge, appunto, gli studenti.
"La cosa interessante di questo incontro - spiega il presidente Aned Alessio Mantellassi - è l'aver approfondito il tema della deportazione degli ebrei nei lager, una pagina di storia che il nostro territorio non ha vissuto e che, di conseguenza, abbiamo affrontato con interesse grazie al contributo di Daniel, socio Aned di Firenze. A lui, ai professori e agli studenti va il nostro ringraziamento per aver partecipato all'iniziativa".
Un incontro molto apprezzato anche dai ragazzi che hanno ascoltato le parole di Daniel che si impegna ormai da tempo nella sezione Aned fiorentina per far conoscere la terribile esperienza vissuta dal padre durante la seconda guerra mondiale.
"Mio padre sposò Anna Disegni, figlia del rabbino di Torino Dario Disegni, e nel 1935 la coppia festeggiò la nascita di una bella bambina, Sissel. Nel 1938 vennero promulgate le infami leggi razziali e poi, come sappiamo, l’8 settembre del ’43 i tedeschi invasero l’Italia. Mio padre, Anna e Sissel cercarono di fuggire in Svizzera, ma al confine furono arrestati dalla polizia fascista e poi spediti proprio in Polonia, ad Auschwitz. La mamma e la bambina furono subito eliminate nelle camere a gas, mio padre fu immesso nel campo e diventò il numero 173484. Perché mi sono salvato io e non i miei cari, e non i sei milioni? si domandava spesso mio padre, roso da un ingiustificato senso di colpa, anche se sapeva che non c’era un perché. O meglio ce n’erano molti. Mio padre, quando fu internato, aveva quarant’anni, un fisico robusto, conosceva bene lo yiddish e il tedesco e discretamente il polacco (aveva venduto una mezza razione di pane per una grammatica polacca), e soprattutto era un Facharbeiter, un operaio specializzato, un tipografo (sappiamo bene che fine facevano gli inutili intellettuali...). Ma la ragione fondamentale, lui lo sapeva bene, aveva un altro nome: una immensa fortuna, il destino. Poi mio padre tornò a Firenze, senza più moglie, e col tempo trovò la forza di risposarsi. Nel 1948 nacqui io".
Al termine della sua toccante testimonianza, tante domande per lui, a conferma del valore che simili iniziative hanno visto che investono temi importanti come la pace, la democrazia o il rispetto altrui. Per la nostra sezione, che di tutto questo fa la sua ragion d'essere, continua così il lavoro con le giovani generazioni per sensibilizzarle sul tema della deportazione nei campi di sterminio nazi-fascisti.