Parkinson, la cura potrebbe essere negli organoidi
Una ricerca del Centro di Ricerca “E.Piaggio”, Università di Pisa e dell’Università del Lussemburgo apre nuove prospettive sullo studio del Parkinson grazie a tecniche innovative di coltura degli organoidi. La ricerca consentirà anche di arrivare a ridurre la sperimentazione farmacologica su cavie animali
Negli ultimi anni le tecniche di coltura in tre dimensioni di cellule staminali hanno visto dei progressi consistenti. Gli “organoidi”, i mini-organi così formati dalla struttura tridimensionale e dalle staminali che vi proliferano, forniscono un modello di come si sviluppa e vive un organo umano, imitandone struttura e funzionalità. Un risultato potenzialmente rivoluzionario per lo studio di alcune malattie, ma anche per i test farmacologici.
Questi modelli di organi hanno però dei limiti, principalmente dovuti alla difficoltà di creare ambienti che garantiscano a lungo la sopravvivenza delle cellule. Le cellule staminali infatti vi proliferano per un certo tempo, dando luogo agli stessi tipo cellulari che generano in vivo, ma poi, mancando nutrienti fondamentali nel suo interno, l’organoide muore.
Dai laboratori del centro di ricerca dell’Università di Pisa “E.Piaggio” e dell’Università del Lussemburgo arrivano però nuove scoperte, che permetteranno agli organoidi di restare vitali, rendendoli modelli scientifici validi per lo studio di malattie come il Parkinson.
«La nostra ricerca – spiega Arti Ahluwalia, direttrice del Centro di Ricerca “E.Piaggio” dell’Università di Pisa - ha dimostrato che è possibile ingegnerizzare ambienti di crescita degli organoidi nei quali il flusso di ossigeno e nutrienti svolge una funzione di mantenimento delle condizioni vitali. In particolare, abbiamo testato questo metodo sull’organoide del mesencefalo: attraverso l’uso della tecnologia fluidica e modelli computazionali, mostriamo che le cellule all'interno dei mini organi, quando stimolate da un flusso, hanno una maggiore vitalità e si differenziano in maniera più efficace in neuroni dopaminergici, che sono importantissimi per il buon funzionamento del cervello. Infatti, la morte dei neuroni dopaminergici è una caratteristica del morbo di Parkinson. Inoltre, la sinergia di modelli computazionali e osservazioni al microscopio ci hanno permesso di individuare una soglia critica per la vitalità delle cellule, che ci permetterà di ottimizzare ulteriormente il protocollo di generazione di questi cervelli in vitro».
La possibilità di avere un organoide-mesencefalo vitale permetterà quindi di studiare come il deterioramento nei neuroni incide sullo svilupparsi della malattia. Ma non è tutto. Lo sviluppo della tecnologia di coltura degli organoidi significa anche costruire un’alternativa concreta ai testi sugli animali. “L’evidenza sperimentale – conclude Arti Ahluwalia – ci dice che tecnologie bioingegneristiche integrate con nuovi metodi per la manipolazione di cellule staminali in-vitro rendono gli organoidi dei modelli scientificamente validi per i test farmacologici, aprendo la strada alla possibilità di fare a meno di cavie animali”.
Fonte: Università di Pisa