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Rsa della Toscana, l'analisi di Opi Firenze-Pistoia

Una RSA capace di conciliare un’assistenza personalizzata che mira al benessere della persona con una sfera sanitaria che sappia offrire competenza e sicurezza. È questo il tema al centro dell’analisi sulle Rsa toscane condotto dal gruppo di Opi Firenze Pistoia che si occupa di Rsa e continuità assistenziale, composto da Giampaolo Scarselli, Isabella Caponi, Matteo Mugnai, Cristina Banchi e Massimiliano Luciani. Un’analisi di primaria importanza, se si considera che in questi anni l’impatto sociale determinato dall’innalzamento dell’età media e delle disabilità, combinato alla grave crisi del 2007/2008, ha messo in ginocchio i modelli di welfare europei. Nel settore anziani il tentativo di contenere la spesa si scontra continuamente con l’invecchiamento della popolazione e con un aumento esponenziale delle persone a rischio, lasciando spesso le famiglie sole ad affrontare i vari problemi. Ne abbiamo parlato con i responsabili della ricerca.

Qual è il quadro attuale del ricorso alle Rsa?

«Ad oggi solo il 3% degli anziani vive in RSA e in futuro si attende un incremento della domanda visto che la media europea è del 5%. Anche ampliando l’offerta di servizi domiciliari non è prevedibile una riduzione della richiesta di servizi residenziali; sugli incentivi economici per l’assistenza familiare basata sulle “badanti” sarebbe opportuna un’adeguata e realistica riflessione. Nel futuro aumenteranno i bisogni sia per numero che per complessità. Questo quadro epidemiologico impone la necessità di assicurare da parte della comunità nazionale e regionale una adeguata copertura finanziaria ai costi assistenziali della non autosufficienza degli anziani».

Quali sono le tipologie di persone residenti in Rsa?

«Sta emergendo un oggettivo aggravamento delle condizioni sanitarie dei residenti in Rsa e una conseguente maggiore complessità assistenziale che necessita di un adeguamento nella presa in carico e nella gestione all’interno delle varie strutture. Le Rsa toscane si sono trasformate progressivamente da residenze a prevalente componente sociale a luoghi di cura per anziani disabili gravi. I residenti delle Rsa sono e saranno sempre più riconducibili a due categorie: anziani con necessità di cura e riabilitazione in seguito a un evento acuto disabilitante o a scompensi comportamentali o anziani che necessitano di cure continuative e protesiche. Dobbiamo prendere atto di questo cambiamento e offrire un adeguamento delle risposte organizzative e prestazionali. Occorre definire parametri diversi a seconda di Rsa ad alta e bassa intensità assistenziale, differenziando i servizi offerti».

In che modo le Rsa potrebbero “crescere” e integrarsi nel percorso territoriale dei servizi sanitari?

«Per la loro complessità gestionale e per il tipo di problematiche che si trovano ad affrontare le Rsa potrebbero assumere sempre più un ruolo centrale nella rete dei servizi ampliando il loro raggio di intervento ad alcuni campi in cui le competenze acquisite possono essere fondamentali per un uso appropriate delle risorse da distribuire sul territorio. Estendendosi verso l’assistenza domiciliare (anche per le persone affette da demenza), la gestione delle cure primarie delle persone del territorio di riferimento, le dimissioni protette temporanee dall’Ospedale  con l’implementazione in tutta l’Area Vasta Centro e poi in tutta la regione del sistema di valutazione multidimensionale per le dimissioni difficili utilizzata dalla ex Asl 10, ma anche configurandosi come punto formativo centrale per tante professionalità che hanno bisogno di una formazione esperienziale e concreta come assistenti di base di struttura e  familiari, operatori socio sanitari, infermieri e medici».

Gli esperti che hanno lavorato sulla realtà assistenziale delle Rsa toscane concordano sul fatto che la pianificazione assistenziale individuale dei residenti condivisa fra tutti i protagonisti dell’assistenza sia decisiva per migliorare l’appropriatezza assistenziale. Come è possibile raggiungere questo obiettivo?

«Vanno definiti tre elementi organizzativi che adesso mostrano importanti segni di criticità: la presenza medica nelle Rsa, la continuità assistenziale del personale infermieristico e la presenza di un Infermiere coordinatore. Sulla presenza medica, la crescente complessità clinica dei residenti e la loro instabilità rendono molto evidente l’inadeguatezza dell’attuale modello, dove si opera spesso in condizioni di altissimo rischio per la sicurezza degli anziani e dei vari professionisti. C’è la necessità di una figura medica più presente, almeno sulle dodici ore, che collabori con tutti i membri dell’equipe e partecipi alla stesura del PAI e garantisca una presa in carico adeguata, risposte più sicure e costanti, con possibilità anche di diminuire il numero di ricoveri in ospedale».

Cosa fare invece per la continuità assistenziale del personale infermieristico?

«La pianificazione assistenziale individuale necessita di una figura di coordinamento del caso (case manager) che sappia gestire le varie risorse disponibili, umane e materiali. Questa funzione è propria della figura dell’infermiere: diventa così essenziale favorire e ricercare la presenza continuativa del personale infermieristico. La normativa regionale, calcolando il fabbisogno indispensabile delle varie figure professionali in ore, non aiuta a raggiungere l’obbiettivo di un gruppo stabile nel tempo di Infermieri che sviluppano competenze e capacità nella gestione dei singoli casi.  Per questo riteniamo necessario che la normativa regionale incentivi la presenza costante di personale infermieristico nelle Rsa, rivedendo alcuni parametri. Riteniamo inoltre indispensabile la presenza infermieristica h24 vista la complessità assistenziale delle persone assistite».

Come si colloca in questo quadro la presenza di un Infermiere Coordinatore?

«La presenza di personale qualificato nella gestione dei servizi in collaborazione con la Direzione delle varie Rsa è fattore determinante per la qualità assistenziale fornita. Tale figura è centrale in un ambiente ad alta complessità e variabilità come la Rsa e si pone come fattore di cambiamento e attivatore di risorse. La strada da perseguire è l’appropriatezza e una figura di questo tipo risulta essenziale per una allocazione ottimale delle risorse seguendo linee di indirizzo validate nell’ambito delle scienze infermieristiche e assistenziali. Occorre anche definire i requisiti di accesso a questo ruolo che abbiamo identificato in un’anzianità di servizio in ambito Rsa di almeno 3 anni e in un percorso formativo appropriato con competenze gestionali (master di coordinamento o titolo equipollente)».

Quindi è necessario un adeguamento degli standard assistenziali, soprattutto per la figura dell’infermiere…

«Sì, e con parametri diversificati a seconda dell’intensità. Ci sembra utile anche fare una riflessione sull’attività di animazione all’interno delle Rsa; come tutte le attività anche questa deve essere personalizzata e incentrata sul rapporto relazionale con l’operatore socio sanitario che vive con il residente. Un’animazione diffusa da stimolare con adeguati programmi formativi per tutti gli operatori guidati da animatori che acquisiscono un ruolo di organizzatori di eventi e di stimolo. In questo senso si può pensare anche a una diminuzione delle ore previste per la figura dell’animazione compensata da utilizzo appropriato delle risorse socio sanitarie nei momenti di minor carico assistenziale».

Quali sono le vostre proposte di revisione in merito ai parametri del personale?

«È indispensabile definire normativamente dei criteri di accesso per le figure che assistono le persone in Rsa: la qualifica di Assistente di Base deve essere resa obbligatoria e va definito con precisione anche il rapporto fra Abd e Oss; noi proponiamo 1 a 6».

Altri aspetti su cui porre attenzione?

«Vanno definite le buone prassi da seguire nell’assistenza in Rsa su vari temi come l’utilizzo di mezzi di contenzione, la gestione dell’incontinenza, la prevenzione dell’insorgenza lesioni da pressione, senza dimenticare un codice etico per tutti gli operatori da definire in modo partecipato coinvolgendo tutte le organizzazioni interessate e l’Università di Firenze. Per quel che riguarda la terapia da somministrare ai residenti in Rsa è necessario definire un protocollo di prescrizione, fornitura e somministrazione valido su tutto il territorio regionale che superi la prescrizione domiciliare. Attualmente vengono utilizzate moltissime ore di personale infermieristico nella gestione dei farmaci a norma di legge che potrebbero invece essere utilizzate per una maggior presa in carico delle persone»

Sul tema della contenzione cosa è possibile fare?

«È importante costruire un gruppo di lavoro che detti le linee guida per l’abolizione della contenzione fisica e farmacologica nelle Rsa. Occorre analizzare con attenzione i dati, distinguendo i mezzi contenitivi che impediscono la deambulazione dagli altri (come le spondine del letto) definendo campi d’azione per abbattere tale fenomeno.

C’è poi il tema delle persone con demenza presenti in Rsa, che necessitano di un’assistenza specifica…

«In questo senso occorre migliorare l’appropriatezza dei ricoveri all’interno dei nuclei Alzheimer e verificare l’applicazione dei parametri organizzativi definiti dalla normativa vigente e del modello assistenziale applicato. Obbiettivo del sistema deve essere la cura delle persone affette da demenza con disturbi comportamentali utilizzando farmaci alla minima dose efficace. Per far questo occorre una valutazione clinica costante con risposte flessibili determinata dalle condizioni cliniche della persona e non da tempi predefiniti impossibili da definire nel decorso della malattia di Alzheimer e delle altre forme di demenza».

Per concludere quali sono i punti imprescindibili per migliorare il livello di assistenza delle Rsa toscane?

«Serve un sistema di controllo regionale efficace che possa valutare, oltre ai criteri strutturali, anche alcuni criteri gestionali e di processi determinanti per innalzare il livello assistenziale delle Rsa toscane.  Occorre verificare che siano definiti dei processi di miglioramento attraverso la presenza di un sistema di indicatori valutato annualmente con  analisi comparata con le altre Rsa e la definizione di un sistema di rilevamento di disservizi e reclami; è necessaria una rilevazione periodica della soddisfazione dei residenti e dei parenti e del clima interno; va previsto un sistema di gestione dei rischi e lo staff direzionale deve redigere un’analisi, almeno annuale, dei processi principali e di supporto evidenziando criticità e opportunità. Infine occorre garantire la presenza di un sistema di procedure validato sulla base di evidenze scientifiche, revisionato e condiviso con tutti gli operatori interessati con alcune procedure obbligatorie. In questa prospettiva l’Rsa diviene ambiente ad alta complessità che necessita di competenze adeguate che, a nostro avviso, potrebbero essere implementate predisponendo un percorso di specializzazione post Laurea per Infermieri di Comunità con un percorso di studi teorico/pratico incentrato sulle competenze organizzative e di gestore di risorse umane e materiali».

Fonte: Opi Firenze-Pistoia - Ufficio Stampa

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