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GoBlog  - Valerio Vallini


L’inferno di Cefalonia e Corfù nel racconto del pontaegolese Spartaco Carli

Il brano che segue è tratto dal libro Siamo nuvole nere che diventano pioggia, di Spartaco Carli edito da FM Edizioni. Spartaco Carli, calzolaio, nato a Stabbia, poi residente a Ponte a Egola, combattente a Corfù e Cefalonia nella Divisione Acqui, fu fatto prigioniero dai tedeschi e poi dai partigiani serbi. Queste citazioni, necessariamente sintetizzate, vogliono essere un omaggio a un paesano diventato amico in anni tardi; uno scrittore schietto e onesto e dotato di una notevole capacità espressiva. Un libro questo, pervaso di grande umanità, che penetra la storia e la rappresenta come un documento vivo.

8 SETTEMBRE
“…salutammo la notizia che l'8 settembre del 1943 l'Italia aveva ‘firmato l'armistizio’ con un esplosione di gioia. Avevamo appena cambiato postazione. Ci eravamo spostati più a sud dell'Isola, in una zona chiamata San Giorgio. Alla notizia della firma di pace che il generale Badoglio aveva fatto a nome dell'Italia seguì l'ordine di partenza. Eravamo convinti di tornare finalmente a casa. Lungo la strada non mancarono gli auguri di alcuni civili. Sento ancora la voce di una donna che in lingua greca diceva: cali patria, buona patria. Pareva un sogno, era il cuore di una mamma che palpitava per noi nemici, sicuramente uguali a suo figlio. Giungemmo ad un'altura fiancheggiata dal mare, un promontorio roccioso dove ricevemmo l'ordine di piazzare i pezzi. Da lì capimmo che il cuore aveva preso il posto della ragione, ragione che ci fu presto spiegata dal nostro comando dicendoci che i tedeschi volevano continuare la guerra. Ci chiesero cosa avremmo voluto fare dopo averci chiarito che l'Italia con la firma dell'armistizio non doveva più rendere conto agli ex-alleati. La scelta era tra continuare a combattere, come pretendevano i tedeschi, o rischiare di essere fatti loro prigionieri e deportati. Nessuna delle due possibilità ci sembrò la nostra, scegliemmo la via dell'onore: combattere contro i tedeschi se avessero preteso di costringerci a continuare la guerra al oro fianco. Furono giorni drammatici, ogni tanto giungevano notizie che le trattative con il Comando della Divisione diventavano sempre più difficili. Anche noi delle isole Ionie eravamo sempre più soli in quanto l'armata dislocata sul continente si stava arrendendo alle truppe tedesche […]. Era chiaro che per noi svanivano le speranze di ricevere un aiuto e proprio per questo i tedeschi si facevano sempre più minacciosi. Il loro ultimatum alla resa venne respinto dal nostro eroico generale Grandini e dagli ufficiali del comando i quali pagaroo per primi e con la vita il tragico prezzo dell’onore. […]. Gli stukas tedeschi volavano sopra di noi mitragliando senza sosta…”

LA RESA AI TEDESCHI

“La resa ai tedeschi fu l’inizio di un nuovo calvario. Ci portarono a Corfù. […] I tedeschi ci trattennero un po’ nei sotterranei della fortezza e poi verso l’otto di ottobre ci imbarcarono sulla motonave. Ammassati nella stiva come sardine, passammo la notte snza quasi riuscire a respirare. Il  nove di ottobre il mare era calmo e sereno. […]. Di lì a poco si scatenò l’inferno, tre aerei (alleati ndr) si gettarono in picchiata uno alla volta sulla nave. Il primo aereo colpì la prua deve c’era il mitragliere che saltò tutto in aria. Il secondo colpì il centro della nave e la fece piegare su un fianco. […]. In quella confusione in preda al panico molti si gettavano in acqua con le scarpe, si aggrappavano l’uno all’altro e finivano per annegare. […]. Le mie condizioni erano così disperate che credevo di non farcela ma una pezzo di tavola di legno mi fu di garnde aiuto. Aggrappato a quel pezzo di legno, fui più volte sul punto di addormentarmi, me ne accorgevo quando sentivo la tavola fuggirmi di mano. Raggiunsi la banchina, ero quasi nudo e infreddolito, ad accogliermi una folla che aveva assistito al naufragio.”

Valerio Vallini

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