Il presidente Casa del Popolo di Santa Maria al PD: "Tramonto della sinistra ormai inevitabile"
Dove sono gli eredi di Berlinguer? Ma esistono? E se esistono, chi sono?
Personalmente non ho nostalgia, perché considero la nostalgia un disvalore. Ho memoria però, che è una cosa diversa. Memoria da elefante, robusta. Una domanda: i dirigenti del PD, inteso come mutazione del PCI, la memoria dove l’hanno messa? Presa e gettata nel cestino? Sarà stato davvero tutto da buttare, tutto da “rottamare”?
In questi anni c’è stata tanta spregiudicatezza e anche molto cinismo.
C’è poco da fare, il PD così com’è non va, prima se ne prende atto meglio è.
Per quanto mi riguarda le cose erano già chiare nel 2014 quando, dopo decenni di militanza, decisi di uscire dal partito. Il problema è che ancora non si intravede un soggetto alternativo, capace di contribuire ad una riscoperta dell’autentico e radicale spirito delle sue ragioni fondative.
Tutti concordano sulla questione dei “valori della sinistra” che il PD avrebbe smarrito nella presa di fondamentali decisioni per il Paese (dal Jobs Act alla Buona Scuola, dai bonus alla riforma costituzionale). Più sfumato è però il peso attribuito alla questione della libertà di discussione all’interno del PD, che io sarei invece portato a ritenere dirimente.
Per un partito politico l’elemento dialogico, la compenetrazione del ragionamento che si traduce in coscienza condivisa, è la condizione di esistenza della democrazia interna, che viene prima del centralismo e alla quale è funzionalmente subordinato.
Più semplicemente, il centralismo deve garantire il funzionamento della democrazia, e non viceversa.
La democraticità di un partito dipende dalla qualità della discussione che precede il momento della sintesi e della decisione.
Senza la democrazia della discussione, la democrazia della decisione diventa una farsa. Questo è ormai diventato il PD di Renzi, una farsa.
Alcuni banali esempi di mancata democrazia nel PD? Quando gli organi dirigenti, nel caso del referendum sulle trivelle, hanno dato il “ciaone” alla minoranza, o quando ne hanno apostrofato i componenti come “gufi”, oppure quando non è stata evasa, dopo le batoste elettorali, ma soprattutto dopo la disfatta del 4 marzo, la richiesta di riflessione collegiale per correggere la linea dopo che i segnali di una tale necessità c’erano tutti.
Se leggiamo questi segnali e li incrociamo con le dichiarazioni di quei tanti militanti e dirigenti del PD che ammettono che le occasioni di vero dialogo si sono radicalmente ridotte, troviamo indizi sufficienti per ritenere che il PD ha notevolmente perso in democraticità, e lo ha fatto a partire dalla concezione di democrazia che già era del PCI.
In questo senso va inteso il senso del “valore storico universale” che della democrazia aveva Berlinguer: universale perché ha valore ovunque, dal condominio all’azienda, dalla casa del popolo alla parrocchia, alle decisioni in famiglia, fino ai partiti e al governo di un paese.
La vera discussione non è mai un tempo morto o un’attività inutile. Essa garantisce che la decisione finale sia la migliore possibile.
Per questo il sole è destinato a tramontare anche su Empoli. Resta solo da capire se andremo verso un modello dell’alternanza oppure verso uno di sostituzione con altre diverse forme di egemonia elettorale, non lo sappiamo ancora. Vedremo.
Una prima, fondamentale risposta si avrà tra meno di un anno, quando in una sola giornata (quella del 26 maggio 2019) non solo si voterà per le elezioni europee, ma rinnoveranno i propri organi di governo circa tre quarti dei comuni di Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche.
L’ultima tornata di elezioni amministrativa ha confermato le difficoltà del PD nelle sue tradizionali zone di forza. Addirittura nelle Regioni Rosse il centrosinistra è persino meno competitivo che altrove. Per la prima volta il centrodestra raccoglie complessivamente più voti del centrosinistra in Emilia-Romagna, nonché il centrodestra e M5S vincono 16 collegi su 23 alla Camera dei Deputati fra Toscana, Umbria e Marche.
Tutti gli esperti sembrano confermare questa indicazione, dal momento che su 16 comuni superiori andati al voto, solo 6 sono stati vinti dal PD e dai suoi alleati, mentre 7 hanno eletto un sindaco sostenuto da Forza Italia e dalla Lega (fra cui i casi clamorosi di Pisa e Siena), 2 un primo cittadino “civico” ed 1(Imola) del Movimento 5 Stelle.
Nel periodo 2013-2018 i candidati sindaco targati PD ricevono al primo turno circa il 37% dei consensi, raccogliendo leggermente di più nelle Marche rispetto ad Emilia-Romagna, Toscana e Umbria ma al ballottaggio in tutte le quattro regioni, in media, i candidati progressisti si fermano al di sotto del 50%, implicando un numero considerevole di sconfitte.
In effetti, ed è un dato eclatante, nei 44 ballottaggi a cui il PD riesce ad accedere, riesce ad imporsi solo in 12 sfide, lasciando le rimanenti 32 alle altre formazioni. Un tasso di successo pari a circa un ballottaggio su quattro.
Siamo di fronte a un vero e proprio cambio di paradigma, che come molti ritengono sembra essere collegato al definitivo tramonto dell’insediamento della subcultura rossa nel Centro Italia.
Le politiche del PD di Renzi per l’imposizione di una mutazione genetica del partito, complici consapevoli anche i vari proconsoli sparsi per l’Italia: segretari regionali, federali e sindaci, hanno evidentemente dato una bella mano al progressivo allentamento con quelle istituzioni sociali che avevano consentito il permanere dell’egemonia elettorale (e non solo) della sinistra nelle regioni rosse: forte ruolo della famiglia nella socializzazione politica e nella trasmissione delle tradizioni di voto, un’articolata struttura di associazionismo afferente al PCI e ai suoi “collegamenti complementari” (ARCI, CGIL, UISP, UDI, ANPI, cooperazione), forte ideale ed attivismo antifascista incanalato nei partiti della sinistra, ruolo significativo per il comune come centro di mediazione degli interessi locali ecc.
Con Renzi hanno innescato un processo irreversibile e per l’epilogo è solo questione di tempo.
PIERO BARTALUCCI – Presidente Casa del Popolo di Santa Maria. Empoli