"Caos incomprensibile? Il Dramma dà senso a violenza inspiegabile": Gabbanini risponde a Pitinghi
Ben fa Pitinghi a sottolineare come l’attenzione del Dramma Popolare si rivolga, da qualche tempo, a tematiche di urgente attualità, secondo un intento preciso e dichiarato della mia Presidenza. Lasciano, invece, stupiti gli appunti indirizzati allo spettacolo “La masseria delle allodole” , su testo di Antonia Arslan, regia di Michele Sinisi. Ogni testo scritto, portato sulla scena del Teatro, diventa inevitabilmente una rivisitazione, che spesso permette richiami diretti alla contemporaneità, senza tuttavia travisarne lo spirito e il messaggio.
Non è un caso che Antonia Arslan, presente alla Prima, abbia pubblicamente manifestato il proprio compiacimento visto come, anche gli inserti sui migranti sfruttati, sui perseguitati di oggi, dimostrino quanto purtroppo le violenze della Storia, che sono quelle degli uomini, si ripetano e si moltiplichino, magari nelle forme del terrorismo quando i fondamentalismi abbiano il sopravvento, secondo la testimonianza-monologo del mendicante che tradisce la famiglia Arslan.
I “segni” cui Sinisi ricorre, costituiranno, per Antonia Arlsan, motivo di nuovi e importanti sviluppi della propria riflessione. Dunque un Dramma che legge in profondità il libro “La masseria delle allodole” e lo lega tangibilmente al presente col ricorso a più linguaggi. Lo spettacolo sa coniugare la leggerezza della festa con i segnali cupi che fanno presagire qualcosa di terribile entro un clima di attesa carico di disagio; da qui i toni alti, talvolta stridenti degli attori, ai quali fa da contraltare il dialogo chiarificatore del politico e del colonnello, espressione di una volontà esplicita di annientamento del popolo armeno.
Una scena di festa, legata alla quotidianità di una famiglia benestante, amante della letteratura e dell’arte, ma anche del divertimento, del ballo, nella quale può nascere perfino un amore, inevitabilmente impossibile , tra la fanciulla armena e il bel soldato turco, con motivati richiami alla vicenda di Romeo e Giulietta, che nel contempo permette allo spettatore di comprendere il valore simbolico dell’allodola, portatrice dell’alba, della luce, della speranza, del superamento delle tenebre, che saranno quelle della violenza e del massacro non di una famiglia, quanto di un intero popolo.
L’attenzione è tutta, però, su un amore che non ha futuro, perché difficile, se non impossibile l’unione tra una donna armena e un soldato turco di quell’esercito chiamato al genocidio, all’annientamento di tutti gli armeni in nome della “Turchia ai turchi”. Così due piani, quello del dialogo tra il politico e il colonnello, drammaticamente tragico, che vede trasformarsi un soldato amico della famiglia armena nell’efferato comandante di un plotone di esecuzione, al quale permettere ogni forma di barbarie anche religiosa, e quello della festa vanno di pari passo, si fanno complementari, a testimoniare l’improvvisa esplosione della rabbia etnica che, in ogni tempo, miete vittime tra le minoranze.
Quello che Pitinghi chiama “caos incomprensibile” è, invece, la modalità più genialmente e sapientemente efficace per dare il senso di una violenza inspiegabile e come inattesa contro un popolo laborioso, vivace, mite, da innumerevole tempo cristiano. E quell’allodola gigante è l’Armenia; indossa i colori della bandiera; è il simbolo di una Nazione che resiste tenace alle tante violenze subite; è la libertà che non può essere conculcata, vola libera dai suoi persecutori, quasi deridendoli. Il pubblico, nella sua generalità, ha capito, si è commosso e turbato, ha avuto lo stimolo a riflettere e interrogarsi, anche chi sembrava non sapere del genocidio armeno. C’è chi è tornato a rivedere lo spettacolo per assaporarlo meglio e penetrarlo più a fondo, ne ha parlato confrontandosi con gli altri sul significato ultimo del messaggio : il conflitto tra il Bene e il Male, l’improrogabile urgenza di un dialogo costruttivo con le diversità culturali e religiose, che sono una ricchezza, perché certi drammi che, purtroppo continuano a ripetersi, siano da monito per le giovani generazioni a non lasciarsi convincere e travolgere da terribili nazionalismi di ritorno.
Forse, allora, prima di formulare, anche se in modo legittimo, l’idea di uno spettacolo in larga parte incomprensibile e caotico, conveniva interrogarsi con maggiore impegno sul perché di scelte operate da un regista moderno, creativo, molto preparato, visto come persone ben più semplici abbiano percepito come autenticamente forte, emotivamente coinvolgente, drammaticamente ed eticamente vero un dramma, di cui anche la critica nazionale ha dato giudizi davvero lusinghieri, tanto da riconoscere al Dramma Popolare un ulteriore, significativo “salto di qualità” e il termine “ popolare” rimanda proprio a questo: avvicinare, senza strane alchimie, un pubblico quanto più vasto possibile a tematiche destinate a scuotere le coscienze, a far discutere entro un deprimente clima di torpore generale.
Marzio Gabbanini, presidente Dramma Popolare