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13 giugno 1978: Ruud Krol scrive alla figlia (o magari no)
Come ci hanno ricordato Nicola Sbetti e Riccardo Brizzi, nel loro recente Storia della Coppa del mondo di calcio (1930-2018). Politica, sport, globalizzazione (Mondadori Education, 2018), i Mondiali di calcio sono uno degli ambiti privilegiati in cui prende forma una particolare interazione fra cultura di massa e politica, che produce un singolare impasto di condizionamenti, strumentalizzazioni, invasioni di campo e sovrapposizioni. La Coppa del mondo è un fenomeno eminentemente politico, fin dal momento in cui si decidono le sedi della competizione. Già nel 1930, la scelta di affidare l’edizione inaugurale all’Uruguay non dipese soltanto dalla forza della Celeste (reduce da due titoli olimpici consecutivi), ma anche e soprattutto dalla volontà di celebrare il centenario dell’indipendenza del paese sudamericano.
Il Mundial argentino del 1978 è unanimemente considerato la più sfrontata operazione di propaganda politica applicata allo sport dai tempi delle Olimpiadi naziste del 1936. Organizzata e disputata sotto la plumbea cappa della sanguinaria dittatura del generale Jorge Videla, salito al potere con un golpe nel marzo 1976 e ispiratore di un regime violentemente repressivo che fece sparire nel nulla circa 30.000 presunti oppositori, la manifestazione iridata fu oggetto di una blanda campagna di boicottaggio, che interessò soprattutto Francia, Olanda e Svezia - l’opinione pubblica svedese era rimasta particolarmente scossa dalla sparizione della diciassettenne Dagmar Hegelin, sequestrata a Buenos Aires nel gennaio 1977 dalle “squadre della morte”, presumibilmente per un errore di persona, e mai più ritrovata. La campagna internazionale contro il regime di Videla, tuttavia, non portò alla cancellazione dei Mondiali, che si svolsero regolarmente mentre erano sempre più numerose e autorevoli le voci che denunciavano i crimini del governo golpista.
Per contrastare la diffusione della verità che cominciava a circolare sui media europei, la stampa argentina si schierò compattamente a fianco della Junta militar, ignorando deliberatamente le notizie sempre più fondate su assassinii, torture e sparizioni. La punta di lancia del sistema propagandistico fu il celebre mensile sportivo El Grafico, la rivista fondata nel 1919 e chiusa appena qualche mese fa per difficoltà economiche a poche settimane dal centesimo compleanno. Cara a Gabriel Garcia Márquez, Mario Vargas Llosa e Jorge Valdano, la gloriosa testata sulla cui copertina ogni bambino innamorato del pallone sognava un giorno di comparire, sbugiardò la propria autorevolezza, rendendosi protagonista di uno sfacciato tentativo di manipolazione giornalistica.
Nel numero 3062 del 13 giugno 1978, comparve al centro del giornale una lettera aperta a firma di Ruud Krol, il capitano dell’Olanda vice-campione del mondo. Alla vigilia della prima partita del girone di semifinale, che avrebbe ammesso gli orange alla seconda finale consecutiva (e a una nuova sconfitta contro i padroni di casa, come quattro anni prima a Monaco di Baviera), l’elegante libero dei “tulipani” si rivolgeva alla figlioletta di tre anni con una lunga e sdolcinata missiva, nella quale si premurava principalmente di assicurare alla piccola che non correva alcun rischio in Argentina, dove era in corso la “Coppa della pace”, dove i “soldatini vestiti di verde […] si prendono cura di noi e ci proteggono” con “fucili che sparano fiori”.
Quando il giornale arrivò all’hotel Potrerillos di Mendoza dov’era alloggiata l’Olanda, Krol divenne lo zimbello di tutta la delegazione. Per quanto secondo i sondaggi il 70% dei tifosi olandesi avesse appoggiato la decisione della federazione di partecipare ai Mondiali, i media dei Paesi Bassi erano stati fra i più espliciti nel denunciare il clima di terrore che regnava in Argentina e durante la cerimonia inaugurale la televisione di Amsterdam aveva mostrato ai telespettatori, oltre alle immagini dallo stadio Monumental di Buenos Aires, i filmati delle madri di Plaza de Mayo che manifestavano contro la scomparsa dei loro congiunti.
Krol indisse una conferenza stampa in cui smentì di aver mai scritto una lettera del genere, addossando la responsabilità a Enrique Romero, giornalista di El Grafico per la provincia di Mendoza. Alla ricerca di uno scoop in grado di sostenere la dittatura e con il poco recondito obiettivo di salire quanti più gradini nella gerarchia della prestigiosa rivista, Romero aveva proposto al direttore la storia della lettera del capitano olandese, giurando sulla sua autenticità – nessuno in redazione parve insospettito dal fatto che l’originale fosse scritto in inglese. Anche dopo la secca smentita del calciatore, Romero rettificò appena la sua versione, dichiarando di aver in effetti scritto lui la lettera, che tuttavia aveva letto al giocatore, ottenendone l’assenso alla pubblicazione. L’ambasciata olandese elevò una protesta ufficiale, ventilando addirittura il ritiro della squadra dalla competizione, ma tutto finì in una bolla di sapone.
Prevedibilmente, tutti i giornali argentini misero la sordina alla vicenda e persino i mezzi di informazione stranieri non si occuparono della questione, che non generò alcuno scandalo internazionale: come adombra Quique Peinado in Calciatori di sinistra: Da Sócrates a Lucarelli: quando la politica entra in campo (Isbn, 2014), nello smorzare i toni ebbe un peso non da poco il fatto che l’Olanda fosse all’epoca il secondo partner commerciale dell’Argentina e che la banca olandese Abn Amro vantasse miliardi di crediti nei confronti del paese latino-americano.
Paolo Bruschi