GoBlog - stagista gonews.it
La beffa di Belfast grazie al catenaccio
(Questo post è una versione multimediale dell’articolo uscito il 9 giugno scorso su Alias, il supplemento settimanale del manifesto)
Quelli che davvero non riescono a frequentare spagnoli o francesi e, se proprio proprio, meglio olandesi e americani, che mal comune mezzo gaudio. Quelli che digrignano i denti al solo manifestarsi della melliflua solidarietà dell’ex campione del mondo tedesco Lothar Matthäus o del tecnico gira-mondo Bora Milutinovic, secondo i quali l’eliminazione dell’Italia è una tristezza per tutti. Quelli insomma che sono in lutto stretto, possono scorrere le righe seguenti, dove si racconta dell’ultima volta che l’Italia mancò la fase finale della Coppa del Mondo, per scoprire che tutto era già scritto nelle imperscrutabili volontà di Eupalla.
Nel 1957, la nazionale doveva qualificarsi a spese di Portogallo e Irlanda del Nord. Gli azzurri superarono gli irlandesi con un risicato 1-0 nel match d’esordio di Roma, ma furono sommersi a Lisbona: 0-3 e polemiche alle stelle.
La querelle divideva i fautori del “catenaccio” dai sostenitori di un approccio più offensivo. La disputa infuriava anche in federazione, che da un po’ affidava la nazionale a pletoriche (e litigiose) “commissioni tecniche”, composte anche di sette (!) membri. La risultante schizofrenia tattica, già sancita dai mediocrissimi Mondiali del 1950 e del 1954, toccò il culmine nella seconda metà degli anni ’50. A ciò si sommava una desolante scarsità di talenti, cui i club sopperivano con massicce iniezioni di pedatori d’oltrefrontiera e decenti risultati, a giudicare dalle finali di Coppa Campioni che in quegli anni Fiorentina e Milan persero contro il Real Madrid. Agli assi d’importazione finì per consegnarsi pure la nazionale, che per la trasferta di Belfast del 4 dicembre 1957 ricorse a tre oriundi, fra i quali Juan Alberto Schiaffino e Alcide Ghiggia, già mattatori dell’Uruguay che aveva sfilato ai presuntuosi brasiliani, a casa loro, la Rimet d’inizio decennio.
Bloccato a Londra dalla nebbia, l’arbitro ungherese Istvan Zsolt non poté però raggiungere la capitale irlandese e le parti rinviarono la contesa al 15 gennaio successivo. Fu comunque disputata una gara amichevole, con grande ira dei 50.000 spettatori. Il platonico 2-2 finale fu seguito da un’invasione di campo e gli italiani poterono scampare la collera del pubblico solo perché scortati negli spogliatoi da polizia e avversari.
Il 22 dicembre, la nebbia fu di nuovo protagonista. Ne fece le spese il Portogallo, cui a San Siro venne restituito l’uguale punteggio dell’andata. All’italia sarebbe ora bastato un pareggio in Irlanda per staccare il pass per i Mondiali. I partigiani del difensivismo consigliarono secondo logica. Tutta l’arcigna difesa del Padova catenacciaro fu convocata, ma non si osò schierarla, mentre con meno pudore si mandarono in campo quattro sudamericani: l’argentino Montuori, il brasiliano Da Costa e i già citati uruguayani. L’Italia cedette per 1-2 e fu l’Irlanda del Nord a recarsi in Svezia nell’estate successiva, dove sbocciò l’adolescente Pelé, che regalò al Brasile la prima iride della sua storia.
Paolo Bruschi