Radicali a Sollicciano: "Luogo dell’infinita conservazione del degrado"
Visitare un carcere è sempre difficile e, quando l’istituto in questione è un elefantiaco edificio, o meglio un complesso di edifici, in cemento armato, consumato dal tempo e corroso da vistose infiltrazioni di umidità, tentare di capire da dove sia possibile iniziare opere di manutenzione è un’impresa che rasenta l’impossibile. Abbiamo fatto parte della delegazione del Partito Radicale che ha visitato il carcere fiorentino di Sollicciano, insieme a Rita Bernardini, Tommaso Grassi e Donella Verdi, due consiglieri comunali del gruppo Firenze riparte a Sinistra, e altri militanti radicali. Il giudizio unanime di tutta la delegazione è che quel carcere non sia ristrutturabile. Si può migliorare qualcosa, certo, rattoppare un muro, riportare una doccia comune a normale condizioni igieniche, tinteggiare i corridoi, togliere le colate di guano di piccione dagli spazi comuni, attivare finalmente la seconda cucina, ma è certo che in pochi mesi i già diluiti investimenti si scioglierebbero di nuovo nell’ordinario degrado.
Il carcere di Sollicciano è un istituto atipico. Non vi è omogeneità di tipologia di detenuti, il 70% dei quali è straniero, la periferia in cui è immerso un tempo era palude e tuttora è zona classificata a rischio idrogeologico. Alcune sezioni sono infestate da cimici e piccioni, i materassi sono sporchi e malsani, l’area trattamentale sottodimensionata (sette educatori per una popolazione carceraria di circa settecento cinquanta detenuti), costantemente sovraffollato in alcuni reparti.
Non è la prima volta che delegazioni radicali, insieme a rappresentati del mondo delle associazioni fiorentino, visitano quell’istituto; sono circa dieci anni, infatti, che con costante periodicità varchiamo la soglia del carcere di via Minervini, e abbiamo potuto constatare più volte come sia impossibile organizzare un credibile cronoprogramma di azioni e interventi urgenti, nonostante la buona volontà sempre manifestata da chi in quel carcere ci lavora. Insomma, meglio chiuderlo, o almeno dismettere la sezione del giudiziario, la più malmessa, modificando la divisione degli spazi. L’esecuzione di pena è difficile alle condizioni riscontrate, i percorsi rieducativi incerti, la risocializzazione un’utopia. Nessuna azienda continuerebbe a investire su una struttura così degradata, preferendo investire sul nuovo piuttosto che sull’incertezza del risanamento impossibile.
Un’altra visibile pecca è nei rapporti con le istituzioni. La Regione Toscana dovrebbe rafforzare l’attenzione sanitaria, modificando concettualmente il rapporto tra operatori sanitari e popolazione detenuta. E’ inutile che l’Agenzia Regionale Sanitaria produca ogni due anni un rapporto sullo stato di salute dei detenuti in regione se poi non si pratica una politica attenta alla prevenzione. Il Comune di Firenze dovrebbe invece capire che un carcere è parte integrante della città, al pari di un ospedale o un plesso scolastico, e non un luogo dell’immaginario negativo. Il garante comunale potrebbe interpretare il suo ruolo di collegamento con l’esterno e la cittadinanza con una vivacità diversa da quella attuale e il Sindaco rispettare gli impegni presi durante un recente Consiglio comunale che si è svolto dentro l’istituto penitenziario.
Purtroppo, uscendo dall’istituto la percezione che resta addosso è che l’attenzione verso il carcere di Sollicciano sia invece solo quella tutta intenta a mantenerlo com’è: un luogo dell’infinita conservazione del degrado e delle vane progettualità, un posto fisico della dimenticanza delle dignità delle persone in sintonia con la richiesta politica di “più carcere” in voga da molti anni. Insomma, Sollicciano così è meglio chiuderlo.
Massimo Lensi, associazione Progetto Firenze
Sandra Gesualdi, Fondazione Don Lorenzo Milani