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Il teatro 'Niccolini' in mano agli under 30: lanciato il manifesto 'Per un attore artigiano'

Per la prima volta in Italia un teatro, il Niccolini di Firenze, sarà interamente animato, vissuto, gestito, spettacolarizzato da giovani attori. Il primo nucleo sarà costituito dai neodiplomati della Scuola ‘Orazio Costa’ della Fondazione Teatro della Toscana, riuniti sotto il nome de ‘i Nuovi’: a essi si affiancheranno altri giovani attori, diplomati in altre scuole, selezionati tramite audizioni. Saranno impegnati in tutti gli aspetti della macchina teatrale, dalla direzione artistica all’amministrazione, dalla comunicazione alle pulizie. Il progetto, strutturato su un percorso di tre anni, prevede che a ognuno degli attori coinvolti sia corrisposta una borsa di studio mensile.

Un progetto con regole precise, riunite in un manifesto in sei punti, Per un attore artigiano di una tradizione vivente.

Un grande investimento sul capitale umano, un’innovativa modalità di lavoro per una nuova figura professionale ovvero il Nuovo Attore, che si occupi di tutti i mestieri del teatro, non solo quelli artistici, ma anche quelli tecnici. Un appello anche alle imprese, perché ‘adottino’ con il loro contributo (che potrà godere dei più recenti vantaggi fiscali), uno de ‘i Nuovi’.

Sul fronte spettacolare, nell’ottica di un rinnovato rapporto formativo Giovani / Maestri, ‘i Nuovi’ saranno diretti da Marco Baliani nella Mandragola di Machiavelli dall’11 al 22 aprile e, a seguire, lavoreranno con Gianfelice Imparato, Glauco Mauri, Andrée Ruth Shammah e Beppe Navello. Al Niccolini anche le prove aperte del nuovo spettacolo di Filippo Timi (24 e 25 marzo) e una finestra sul vernacolo come “lingua popolare colta”.

Parte da via Ricasoli, da una delle sale teatrali all’italiana più antiche in assoluto, un progetto di avviamento al lavoro dei giovani che ha pochi eguali, un investimento sul capitale umano che ha come obiettivo quello di trovare un nuovo attore per un teatro nuovo. Dal 15 marzo lo storico Niccolini sarà interamente animato, vissuto, gestito, spettacolarizzato da un gruppo di giovani (il primo nucleo è costituto dai diplomati della Scuola per Attori ‘Orazio Costa’ della Fondazione Teatro della Toscana, ma a essi se ne aggiungeranno altri provenienti da differenti istituzioni formative italiane) che si occuperanno di tutto ciò che serve per portare avanti una sala teatrale. Gli spettacoli, dunque, ma anche l’amministrazione, la comunicazione, la promozione, l’accoglienza in sala, le pulizie. Un teatro realmente dei giovani, orientato verso il nuovo. Per garantire una prospettiva di vita, nel percorso del progetto sarà assegnata una borsa di studio mensile. Tutti i selezionati, a rimarcare lo slancio in avanti, saranno riuniti sotto il nome de ‘i Nuovi’.

Lo speciale progetto di avviamento alla professione che prende le mosse con il primo gruppo nasce da una riflessione sulle domande che nel 1963 Julian Beck si pone in una delle sue meditazioni sul teatro, in particolare sulla prima – finisco con domande perché non ho risposte – e sull’ultima: come farlo ora? In un periodo di grandi interrogativi sul futuro del teatro questo appello di oltre cinquant’anni fa suona assai contemporaneo. Scaturisce da qui il proposito di formare un Nuovo Attore, un Attore Totale, che agisca all’interno di un’idea di teatro alternativa a quella attuale, nella quale l’attore abbia nozione e conoscenza di ogni aspetto della messinscena (dall’organizzazione alla comunicazione alla gestione del luogo teatrale) e riesca a metterle a frutto nei confronti della recitazione e del rapporto con il pubblico. Una versione contemporanea degli attori della Commedia dell’Arte, aggiornata all’Attore Scarrozzante (secondo la concezione di Testori, non a caso uno dei primi autori a essere messo in scena), che basato al Niccolini possa muoversi in ciascuno degli spazi del Teatro della Toscana.

Questa idea è connessa all’idea di un teatro nuovo che abbia come scopo quello di ripensare il teatro oggi e riscoprire il valore profondo del mondo classico per metterlo in relazione con pensieri, suggestioni ed esperienze contemporanee. Un dialogo costante tra presente e passato, per comprendere meglio le nostre radici e poter lavorare sul futuro, un Teatro d’Arte che, facendo riferimento alle grandi teorizzazioni di inizio Novecento (Appia, Craig, Antoine, Stanislavskij, Copeau), parta dalle esperienze di Costa e Grotowski, patrimonio ineguagliabile della Fondazione.

Il progetto presuppone una nuova visione (teatro di parola, lingua e letteratura italiana come materia prima, anche sotto forma di traduzioni importanti), una nuova modalità di lavoro, quella Giovani/Maestri, nella quale è il gruppo a individuare un maestro che sulla base di regole certe li guidi in un allestimento, e dei nuovi obiettivi, che sono poi quelli di avviare a un lavoro vero e non precario il maggior numero di giovani possibile attraverso meccanismi di sostenibilità. Alla base un manifesto teorico in sei punti, Per un attore artigiano di una tradizione vivente, che regolerà la vita di questa innovativa esperienza.

Le mansioni individuate per i giovani, che saranno svolte sulla base di una turnazione in modo che tutti a turno si occupino di ogni aspetto del fare teatro, sono: direttore (organizzazione generale del lavoro); amministratore di compagnia; addetto all’organizzazione funzionale (produzione, programmazione, promozione); addetto alla comunicazione; direttore di scena; responsabile tecnico; custode; maschera; pulizie (riassetto serale della sala). Il compito di far conoscere la maestria degli artigiani della scena è svolto dal Laboratorio di Costumi e Scene del Teatro della Pergola, che realizza costumi e scenografie delle produzioni del Teatro della Toscana. In programma, inoltre, un’intensa attività formativa su temi come inglese teatrale contemporaneo; canto; teatro comico; legislazione teatrale; management teatrale; consulenza del lavoro; gestione del personale; sicurezza e organizzazione; programmazione e produzione.

Il primo nucleo del progetto è costituito dai 16 attori diplomati al I° Corso della Scuola ‘Orazio Costa’: Maddalena Amorini, Francesco Argirò, Beatrice Ceccherini, Davide Diamanti, Ghennadi Gidari, Francesco Grossi, Filippo Lai, Athos Leonardi, Claudia Ludovica Marino, Luca Pedron, Laura Pinato, Nadia Saragoni, Sebastiano Spada, Filippo Stefani, Erica Trinchera, Lorenzo Volpe. Di età tra i 21 e i 30 anni, hanno già realizzato spettacoli e partecipato a produzioni della Fondazione. È prevista la partecipazione ad alcuni dei ruoli sopra indicati anche agli allievi del II° Corso che avrà inizio entro la fine del 2018. L’accesso sarà esteso anche a diplomati di altre istituzioni formative, scelti sulla base di apposite audizioni organizzate dalla Fondazione Teatro della Toscana. A insindacabile giudizio del Direttore generale della Fondazione, Marco Giorgetti, e del Coordinatore del progetto, Pier Paolo Pacini, sarà infine possibile il conferimento diretto di borse di studio a soggetti ritenuti meritevoli.

Il progetto presuppone anche una bella opportunità per le imprese: quella di poter “adottare” uno o più partecipanti al progetto e contribuire così alla reale crescita professionale di un giovane. Non una sponsorizzazione, ma un ausilio di carattere etico al progredire di un percorso che è anche un investimento sul futuro. Questa opportunità è arricchita anche dai più recenti provvedimenti di defiscalizzazione tramite Art Bonus, che estesi anche al teatro consentiranno a tutte le imprese che decideranno di intervenire di recuperare il 65% del loro investimento in detrazioni.

Il primo Maestro è Marco Baliani, che dirigerà al Teatro Niccolini, dall’11 al 22 aprile, Mandragola di Machiavelli. Spiega lo stesso Baliani: “Penso a uno spettacolo in continuo fibrillante movimento, come se il turbine delle passioni che governano gli animi dei personaggi si esplicitasse in una frenesia di corpi danzanti. Ogni personaggio ha un suo doppio-ombra che invisibile lo trascina, lo muove, gli sussurra le parole da dire, lo confonde e lo turba, un regista occulto che muove il corpo del personaggio come una marionetta. Per ogni azione scenica ci sarà un coro di corpi, nella penombra di luoghi comunque ombrosi e intrisi di oscurità, che sarà un’eco sonora e visiva di quel che accade psichicamente ai personaggi. Il linguaggio di Machiavelli sarà in parte tradito, come sempre accade quando l’arte commette l’arbitrio di una traduzione, le parole dovranno avere la stessa forza di quelle originali, ma dovranno parlare alle nostre orecchie disincantate, dovranno essere materiche e quindi mai filologicamente rispettose”.

A seguire, a partire dal mese di ottobre, ci saranno Gianfelice Imparato con un lavoro sul teatro comico e sui testi brevi di Eduardo che indaghi anche la possibilità stessa di un teatro comico oggi in Italia; Glauco Mauri con una masterclass sul mestiere dell’attore e un laboratorio su Dostoevskij curato anche da Matteo Tarasco; Andrée Ruth Shammah, che si cimenta nuovamente nello storico allestimento dei Promessi sposi alla prova testoriani, questa volta per instaurare un meccanismo di scambio creativo con i giovani; e Beppe Navello, con un progetto che indaga il ruolo di un teatro nazionale oggi in Italia a partire dalla questione della lingua.

Il 24 e 25 marzo Filippo Timi apre al pubblico le prove al Niccolini del suo nuovo spettacolo prodotto dal Teatro Franco Parenti e dalla Fondazione Teatro della Toscana: Un cuore di vetro in inverno con Marina Rocco, Elena Lietti, Andrea Soffiantini, Michele Capuano. È la storia di un cavaliere umbro che parte per sconfiggere il drago delle sue paure e debolezze. “Quando ho chiesto a Filippo di fare una serie di serate intorno a delle parole chiave (per esempio la paura, il sogno) – afferma Andrée Ruth Shammah – lui è arrivato un pomeriggio, si è seduto nel mio ufficio e mi ha letto quello che aveva scritto. È stata un’ora di grande intensità. Non si poteva non cercare di fare di tutto per fargli mettere in scena quelle parole. Abbiamo chiesto aiuto alla Fondazione Teatro della Toscana, che ha sempre ospitato e co-prodotto i nostri spettacoli di Filippo. Ora non ci resta che fare il possibile creando le migliori condizioni artistiche e produttive per accompagnare la nascita di questo nuovo lavoro”.

Come teatro della lingua italiana, il Niccolini aprirà anche un’importante finestra sul vernacolo come “lingua popolare colta”, al fine di dare visibilità agli autori storicamente più importanti. Dopo l’esperimento di gennaio 2018 tornerà come spettacolo delle feste l’Acqua cheta della Compagnia delle Seggiole, mentre è atteso l’allestimento di un grande classico come La fiera dell’Impruneta di Giulio Bucciolini.

PER UN ATTORE ARTIGIANO DI UNA TRADIZIONE VIVENTE

1. Il Teatro d'arte nasce dal rapporto tra Giovani e Maestri: trasmissione e scambio sono i principi su cui si fonda ogni realizzazione.

2. La materia prima testuale è la letteratura italiana, la lingua italiana in ogni sua forma e declinazione per un teatro di parola.

3. La dotazione economica per ogni realizzazione sarà delimitata, limitata e sempre uguale.

4. Ogni attore è chiamato a sperimentarsi in ogni mestiere del fare teatro per divenire strumento totale, creativo e consapevole di un teatro nuovo.

5. Costumi, scene e apparati sono realizzati dal Laboratorio d'arte del Teatro della Toscana.

6. Rigore, umiltà, integrità e sincerità sono il metro di valutazione di ogni realizzazione, decisivi per la sua messa in scena.

I MAESTRI DEL 2018/2019

MARCO BALIANI
Mandragola di Niccolò Machiavelli

Mandragola compie nel 2018 cinquecento anni: anche se la data convenzionale del 1518 viene oggi retrodatata, può assurgere a gesto simbolico che il percorso del Niccolini cominci con quello che viene tradizionalmente considerato il testo fondativo del teatro in lingua italiana, audace per argomento, con molti riferimenti alla novellistica del Boccaccio nell’intreccio e una rappresentazione del tutto negativa della Chiesa e della morale.
Il celebre prologo che inizia col fatidico Iddio vi salvi, benigni uditori dà inizio a un intreccio la cui classicità rimane insuperata. Nelle parole di Marco Baliani: "Uno spettacolo in continuo fibrillante movimento, come se il turbine delle passioni che governano gli animi dei personaggi si esplicitasse
in una frenesia di corpi danzanti. Ogni personaggio ha un suo doppio-ombra che invisibile lo trascina, lo muove, gli sussurra le parole da dire, lo confonde e lo turba, un regista occulto che muove il corpo del personaggio come una marionetta. Il linguaggio di Machiavelli sarà in parte tradito, come sempre accade quando l’arte commette l’arbitrio di una traduzione, le parole dovranno avere la stessa forza di quelle originali, ma dovranno parlare alle nostre orecchie disincantate, dovranno essere materiche e quindi mai filologicamente rispettose”.

GIANFELICE IMPARATO
Laboratorio sul teatro comico di Eduardo De Filippo

L’esigenza di un laboratorio sul teatro comico nasce dalla constatazione dello stato involutivo del medesimo in Italia. Le cause sono molteplici. Troppo lungo e arduo sarebbe avventurarsi in un’analisi del fenomeno: bisogna restituire al teatro comico la nobiltà e la valenza culturale e civile che ha sempre avuto nelle società più evolute. Per fare ciò c’è bisogno di studio e di una committenza illuminata che permetta di avere in futuro un teatro comico vivo e adeguato alla grande tradizione italiana.
L’obiettivo cui tende il laboratorio è tramandare ai giovani i meccanismi della drammaturgia comica, che è altra cosa dalle barzellette inanellate in un contenitore pretestuoso che viene spacciato per trama. L’autore che fornirà il materiale di studio è Eduardo, il Maestro che ha traghettato la sapienza della drammaturgia comica dall’inizio del secolo scorso a quello corrente. Nello specifico, il progetto si svilupperà in più fasi: l’analisi di vari testi di Eduardo, attinti dal suo repertorio comico (Sik-Sik l’artefice magico, Pericolosamente, il primo atto di Uomo e galantuomo), e delle loro potenzialità, e la messa in spazio di questi testi in varie versioni, anche con trasposizione del dialetto, per rendere chiaro che i meccanismi della drammaturgia comica, di cui Eduardo aveva grande conoscenza, sono universali.

GLAUCO MAURI
Masterclass – Laboratorio Dostoevskij (a cura di Matteo Tarasco)

Dostoevskij ha scritto più di quello che ha scritto. Nelle sue regioni bianche vi è qualcosa di misterioso, di non detto, di incommensurabile, che soltanto le parole stesse possono lasciar intuire quando, abbandonata la distesa di carta, si fanno carne e verbo. Dostoevskij ha la rara forza di farci udire l’invisibile, come un angelo del silenzio che vola sopra le pagine, sopra il palcoscenico, sopra i nostri cuori. La Masterclass – Laboratorio Dostoevskij si prefigge di illustrare il percorso che conduce dal testo alla scena e si focalizzerà su tecniche ed esercizi psicofisici per l’espressione dei sentimenti.

“Tecnica è la somma di tutte quelle capacità che aiutano a far vivere e comprendere la poesia. Una cosa è sentire un sentimento un’altra è saperlo esprimere – e in questo la tecnica ci è indispensabile. Nella nostra masterclass, oltre a questo, spero di rendere consapevoli i giovani delle meravigliose responsabilità che il teatro ci dona: raccontare favole che aiutano a tentare di capire quel lungo viaggio, a volte meraviglioso e a volte molto difficile, che è la vita. Le favole che racconteranno da un palcoscenico renderanno più ricchi di cultura e di umanità coloro che verranno ad ascoltarli. Essere “bravi” è importante, ma essere utili alla vita è la ricchezza più grande che ci dona il nostro lavoro”.
Glauco Mauri

ANDRÉE RUTH SHAMMAH
I promessi sposi alla prova di Giovanni Testori

“1984. Prendono vita per la prima volta I promessi sposi alla prova di Giovanni Testori. In uno spoglio palcoscenico di provincia, le pareti biancastre, l’attrezzeria falsamente in disordine, le porticine, i pontili, le scalette a vista e una saracinesca grigia sullo sfondo, un gruppo di giovani attori appassionati e inesperti, un po’ smarriti e un po’ curiosi, prova, sotto la guida di un Maestro, qualcosa che assomiglia al capolavoro di Manzoni I promessi sposi, ma che diventa qualcos’altro, nel tentativo di liberare i personaggi dalla pagina scritta e di fare dei personaggi e degli attori degli uomini che camminano da soli.
Tra le pagine di questo testo si cela il senso del fare Teatro; personaggi/uomini provano a uscire dai ruoli, quelli teatrali, ma anche umani, ed entrare nel loro tempo. Quello che io ho da dare ai ragazzi è Testori e questa poetica. Quando li ho incontrati a Firenze mi è piaciuto moltissimo il modo in cui loro si sono posti nei miei confronti. I promessi sposi alla prova era la scelta più giusta perché, dal confronto con questi giovani attori, ho capito che questo modo di fare teatro è necessario oltre che bello. Così torno a Testori molto felice di tornarci, come fosse la prima volta”.
Andrée Ruth Shammah

BEPPE NAVELLO
L’antica utopia del Teatro Nazionale in Italia
Associazione Teatro Europeo

“Che cosa dovrebbe fare un teatro che volesse realizzare un progetto da Teatro Nazionale? Un teatro che lo è già per rango ministeriale, ma che vuole diventarlo nella prassi, nel comportamento artistico? Dovrebbe programmare, secondo una strategia critica, la drammaturgia italiana di ieri, di oggi e forse di domani. Un teatro che promuova la letteratura italiana destinata nei secoli alla rappresentazione non c’è ed è ormai necessario. Il Teatro della Toscana può perseguire la valorizzazione della lingua italiana attraverso la produzione di testi della nostra letteratura.
La presenza di una scuola di formazione per artisti della scena e la vicinanza di una sede universitaria, oltre che dell’Accademia della Crusca, consentono tempi lunghi e approfonditi di ricerca, di sperimentazione e di prova: una compagnia di giovani attori che abbia l’entusiasmo e la forza di dedicarsi a questa missione può riuscire nell’intento di offrire in pochi anni un grande teatro di repertorio nazionale. Contaminazione delle forme e dei linguaggi, attenzione alle nuove tecnologie, valorizzazione dei luoghi storici sono le direttrici di ricerca. I cinquecento anni dalla morte di Leonardo sono l’occasione per partire in un viaggio nel teatro italiano che dal Cinquecento può arrivare sino a Flaiano”.

Fonte: Teatro della Toscana - Ufficio stampa

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