Svastiche a Isola sulla targa della staffetta partigiana, la lettera della nipote di Dina Cambi Fioravanti
"Ormai frequento poco Isola, piccola frazione del Comune di San Miniato dove i miei nonni paterni hanno vissuto dagli anni ’50 fino alla morte, e dove mio padre è cresciuto.
Non ho molti ricordi di mia nonna, è morta quando avevo sei anni in seguito a una brutta malattia. Mi ricordo però quando mi portava a far l’erba per gli animali, il muso del maiale quando gli buttavamo da mangiare, i conigli nelle loro gabbiette. Ricordo quando rimanevo a dormire da lei e dormivamo nello stesso letto, l’armadietto col borotalco, lei che sgranava il rosario, al buio, mentre provavo ad addormentarmi mentre le fronde dell’albero sull’aia facevano un’ombra alla finestra che pensavo fosse quella dell’omo nero.
Della sua vita, ho scoperto tutto crescendo. Durante la guerra fu staffetta partigiana, nel dopoguerra si spese e batté per i diritti dei lavoratori e dei contadini, per i diritti delle donne. Fu tra le prime donne elette nel Consiglio Comunale di San Miniato, in quota PCI. In camera, ho sempre avuto la foto di lei che stringeva la mano a Togliatti. Ho scoperto che quel rosario lo ha sgranato tutta la vita in memoria della suocera, fervente cattolica, la mia bisnonna che morì di infarto qualche giorno dopo aver sentito il prete, dal pulpito, scomunicargli tutti e quattro i figli perché comunisti.
L’impegno di mia nonna è sempre stata conosciuto e riconosciuto, sia dai paesani che dall’amministrazione comunale, che nell’ottobre del 2014 ha deciso di intitolarle una piazza proprio nella sua Isola.
Dicevo, all’inizio, che ormai frequento poco Isola. Una delle poche occasioni in cui negli ultimi anni sono lì è proprio la sera dell’8 marzo, quando il Circolo di paese organizza una cena in occasione della giornata internazionale della donna. Durante la cena, ho rivisto alcune delle foto di mia nonna lì appese (quella con Togliatti, una di lei che guida il trattore durante una manifestazione, con lo sfondo rosso di uno striscione, quel sorriso così uguale a quello del mio babbo e forse anche al mio). Mi son fermata a parlare con donne che in me riconoscono lei e alle quali fa piacere ricordare quando aiutavano mia nonna nella raccolta di firme o per questa o quella iniziativa.
Ero arrivata di corsa, ero in ritardo, ho parcheggiato a pochi passi da quella targa senza guardarla. Al ritorno no, mi son fermata a salutarla, ed è stato lì che ho visto quelle svastiche. La targa è alta, bisogna arrampicarsi su una piccola ringhiera che dà proprio sulla strada principale per arrivarci. Abbiamo controllato, sono state incise nel marmo.
Sono tornata subito al circolo, a parlarne col presidente, che ha sempre tenuto a mantenere vivo il ricordo di mia nonna. Non sapeva niente, non le aveva viste. Qualche timida voce ha fatto presente che è già da un po’ che sono lì, quelle tre svastiche (la terza si vede a malapena, è appena accennata).
Perché scrivo tutto questo? Per dire che più ci penso, meno quelle svastiche mi appaiono come una possibile “ragazzata”. Sarebbero potute essere su un muro, eppure son proprio lì, a fianco del suo nome, a infamarne la memoria.
Scrivo anche e soprattutto perché, oltre al gesto, mi ha colpito profondamente come siano molto visibili, come in effetti qualcuno le avesse viste ma nessuno avesse detto niente. Perché questa settimana è morto un uomo senegalese a pochi chilometri da qui, ucciso perché la sua vita valeva meno di quella di altri, e nonostante questo si continua a minimizzare, quasi a lasciar correre (in un caso come nell’altro). Non ci possiamo (più) permettere il lusso dell’indifferenza.
Se davvero crediamo in una società antifascista, dove non vi sia discriminazione, dove non vi sia violenza, dove non possa tornare il fascismo sotto nessuna delle sue mille sfaccettature, dobbiamo immediatamente iniziare a non tralasciare niente, ad aver cura del nostro passato e del nostro presente. Aver cura significa essere presenti, essere partecipi di tutto ciò che ci circonda. Non cedere un millimetro di spazio. Se invece in quei valori non ci crediamo profondamente, magari ci crediamo solo di facciata, non dobbiamo che continuare sulla strada che ormai da anni abbiamo intrapreso. Tra non molto, temo, non saremo nemmeno più costretti a fingere.
Ringrazio l’amministrazione di San Miniato, che decise di intitolare a mia nonna quella piazza, ed in particolare il sindaco, che non appena avvisato di quanto accaduto, si è immediatamente impegnato nell’affrontare la situazione. Per questo, a breve, la targa sarà probabilmente rimossa in modo da poter cancellare quell’onta".
Giulia Fioravanti