GoBlog - Alessandro Dimitrio
69 love songs, il trittico dell'enciclopedico Stephen Merritt
CLICCA PLAY PER RIASCOLTARE LA PUNTATA (le canzoni andate in onda: Sweet Lovin Man, I think I need a new heart e I don't want to get over you)
Partiamo da una canzone in particolare: The Book of Love, magniloquente e affascinante fiaba dove esiste una Bibbia, il libro dell’amore. Noioso, vecchio, sorpassato, eppure sempre amore è, ‘amo quando me lo leggi, e tu potresti leggermi qualcosa’. Questa canzone, pompata ancora di più con gli archi, viene coverizzata da Peter Gabriel e utilizzata nel finale di stagione della serie tv Scrubs, una delle mie preferite. Da questa canzone rimarrà affascinato anche Zucchero Fornaciari, che la riprenderà traducendola in italiano.
Se The book of love è un pezzo simbolo, 69 love songs, l’album che lo contiene, è ‘the record of love’. 69 pezzi divisi in tre dischi, usciti singolarmente nel 1999 e poi riuniti in un unico cofanetto. Il ‘catalogatore’ che vi è dietro è Stephen Merritt, omosessuale convinto, amante dei musical, autore completo.
Dietro il moniker The Magnetic Fields proseguirà la sua storia musicale andando per capitoli chiusi entro schemi ben precisi, prendendo ampie boccate d’aria fresca con composizioni di ogni tipo. Distorsion del 2008, come si può capire dal titolo, sarà tutto suonato con ampie distorsioni, echi ed effetti per la chitarra. Il suo fratello malvagio sarà Realism, tutto interamente acustico. Love at the bottom of the sea, del 2012, riprenderà in mano l’uso dei sintetizzatori. L’ultimo capitolo uscito lo scorso anno, 50 song memoir, è appunto un diario di 50 capitoli, uno per ogni anno vissuto da Stephen Merritt.
Il disco più riuscito, proprio perché variegato e ben amalgamato, è quello che vi propongo oggi. Assieme alla voce cavernosa e veramente bassa di Merritt (sfido Francesco Bianconi dei Baustelle ad arrivare fin laggiù) cantano e suonano Claudia Gonson, Sam Davol, John Woo e Shirley Simms. Merritt parte con l’idea di fare 100 canzoni, poi si ferma a 69, numero che ricorda lo Yin e lo Yang e il Kamasutra.
Finora ci siamo fermati solo alle nozioni, e potremmo continuare. Descrivere questo album è come descrivere tutte le declinazioni di un sentimento come l’amore. La disperazione e la depressione cantata fischiettando di I think i need a new heart potrebbe cozzare con l’impulso sessuale di Underwear, gli addii da parte dell’amante si trovano in Come back from San Francisco, la canzone dentro la canzone raccontano un amore smisurato in The way you say goodbye. Questi sono alcuni dei temi. Le stesse sfaccettature sono altrettanto ampie per i generi affrontati. Pop, pop rock, musica classica, addirittura canzoni da cheerleader, intermezzi sperimentali, canzoni irlandesi, tanto folk e country, molta elettronica alla Pet Shop Boys. Quasi tutti i momenti dell’ascolto sono orecchiabili, mentre le altre composizioni sono volutamente dissonanti e caotiche, come l’amore quando si manifesta tra due personalità esplosive.
Quando si afferma che il pop è la base e l’arrivo di tutto, per avallare questa tesi dovremmo portare 69 love songs. Senza se e senza ma, questa mini enciclopedia non può non intaccare l’animo dell’ascoltatore. Consiglio l’ascolto a mo’ di bugiardino medico: a seconda delle patologie (amore lontano, amore inesistente, amore scappato, amore esplosivo), prendere la cura giusta. Consiglio anche la meta-enciclopedia, ossia la pagina in stile Wikipedia dedicata proprio a questo disco. Da compositore raffinato, Merritt non poteva non permettersi di inserire citazioni colte tra una frase e l’altra. Sapete ad esempio chi è Ferdinand de Saussure? Il trio Holland-Dozier-Holland? In molti diranno di no: questa è l’occasione per recuperare.
Una piccola curiosità che può essere spiegata anche in queste poche righe: la maniacalità di Merritt prevedeva anche l’elenco in ordine alfabetico, tant’è che la prima canzone del primo disco inizia con la A (Absolutely Cuckoo) e le ultime due del terzo disco chiudono in X e Z (Xylophone Track e Zebra). Poi però ha preso il sopravvento il bisogno di seguire la vena creativa e non l’ordine alfabetico. E anche di questo possiamo ringraziare il creatore dei Magnetic Fields.